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Il boss Nicolino Grande Aracri

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CUTRO (CROTONE) – Ancora l’avviso di fissazione dell’udienza non è arrivato ai numerosi difensori impegnati nel maxi processo Aemilia, il più grande per numero di imputati mai celebrato contro le mafie al Nord Italia, ma informalmente è stato già reso loro noro che l’atto finale in Corte di Cassazione avrà luogo il prossimo 21 aprile e che gli imputati saranno 88.

E’ il processo contro la filiale emiliana della super cosca di Cutro, capeggiata dal boss Nicolino Grande Aracri, il cui principio di collaborazione con la giustizia è stato nei mesi scorsi ritenuto inattendibile dalla Dda di Catanzaro. In Corte d’Appello, a Bologna, erano state 92 le condanne e su 120 imputati 28 furono assolti, per cui le pene inflitte in primo grado dal Tribunale penale di Reggio Emilia, la città ritenuta l’epicentro della piovra cutrese, scesero da 1223 a 712 anni di carcere, ma sulla riduzione ha inciso anche la messa in continuazione dei riti abbreviato e ordinario per alcuni imputati con ruolo apicale. Il filone del rito abbreviato, che ha visto a processo quasi tutti i capi dell’organizzazione, è invece già concluso con una quarantina di condanne passate in giudicato.

Il più famoso di tutti i personaggi rimasti a giudizio nel rito ordinario, anche se la sua posizione è marginale negli atti, è quella del campione del mondo Vincenzo Iaquinta: l’ex calciatore della Juventus e della Nazionale si è visto confermare in Appello la condanna a due anni inflitta in primo grado per un’irregolarità nella custodia di armi. Per lui i giudici hanno in ogni caso disposto il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Più pesante la posizione del padre, l’imprenditore Giuseppe Iaquinta, che a Reggio Emilia era stato condannato a 19 anni per associazione mafiosa e a cui i giudici di secondo grado hanno ridotto a 13 la pena. Tra i condannati, la pena più alta era stata per Gaetano Blasco, imprenditore di riferimento del clan che in un’intercettazione shock rideva del sisma in Emilia pensando all’opportunità di lucrare che si stava per aprire: si è visto comminare una pena di 22 anni e 11 mesi. Nelle motivazioni della sentenza d’Appello l’elemento caratterizzante della super cosca di Cutro era la «capacità di infiltrazione nel tessuto economico-imprenditoriale», aspetto che «maggiormente evidenzia il suo carattere autonomo rispetto alla casa madre cutrese».

In quasi 2.600 pagine, la Corte presieduta da Alberto Pederiali (a latere i consiglieri Maurizio Passarini e Giuditta Silvestrini) insisteva sull’autonomia della cosca emiliana, pur in sinergia con la casa madre dei Grande Aracri di Cutro. Il vertice indiscusso in questo processo però non risponde di associazione mafiosa, reato per cui il boss è stato condannato in via definitiva nei processi gemelli Kyterion e Pesci. Il 28 gennaio 2015 scattò una manovra a tenaglia condotta da tre Dda contro la cosca Grande Aracri: quelle di Bologna, Catanzaro e Brescia, che misero a segno appunto le maxi operaziioni Aemilia, Kyterion e Pesci da cui sono scaturiti processi per oltre 300 persone sparsi in mezza Italia. Rispetto all’infiltrazione, «non è emerso alcun elemento probatorio che susciti anche solo il sospetto che in tale ambito venissero impartiti ordini o anche solo che il sodalizio emiliano informasse o tenesse aggiornato il capo cosca cutrese, eccetto nei casi in cui quest’ultimo non avesse un interesse particolare avendo egli investito denaro nel singolo affare o essendo destinatario di una parte dei profitti».

Due sistemi, dunque, operavano in stretta collaborazione, in «una coesistenza sinergica della tradizionale area militare con quella moderna imprenditoriale». Il modus operandi della ‘ndrangheta cutrese in Emilia? «Sistematiche azioni estorsive e usurarie commesse soprattutto in danno sia di soggetti di origine calabrese residenti sul territorio emiliano, sia ai danni di imprenditori locali in difficoltà economiche».

Ma c’era anche «l’avvicinamento e il coinvolgimento di personaggi gravitanti nel mondo della politica locale e degli organi di informazione e rapporti con alcuni esponenti delle forze dell’ordine, «che hanno dimostrato una vera e propria partecipazione agli scopi dell’associazione mafiosa mettendosi di fatto a disposizione dell’associazione mafiosa». Il riferimento è alle iniziative intraprese tra il 2011 e il 2012 per trovare un accordo con l’ex consigliere comunale e provinciale reggiano Giuseppe Pagliani, assolto in Appello.

Altra specialità della cosca cutrese l’estorsione spesso occultata da una «parallela attività di falsa fatturazione volta ad ammantare dietro un’apparenza documentale lecita la reale causale della dazione del denaro che i sodali pretendevano dagli estorti per un importo non inferiore a quello dell’Iva indicata in fattura».

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