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L'ex parroco don Edoardo Scordio

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ISOLA CAPO RIZZUTO (CROTONE) – Bacchettate alla Prefettura di Crotone: sono quelle inflitte dalla Corte d’Appello di Catanzaro che ha motivato la sentenza con cui, nell’aprile scorso, fu ridotta la pena all’ex parroco di Isola Capo Rizzuto Edoardo Scordio, condannato a 8 anni e 8 mesi di reclusione a fronte dei 14 anni e 6 mesi inflittigli in primo grado, poiché, se l’imputazione di associazione mafiosa resta in piedi, sei capi d’accusa relativi alla distrazione di fondi destinati ai migranti sono ormai prescritti.

Furono in tutto nove le rideterminazioni di pena, sette le assoluzioni e tre le condanne confermate nel filone processuale del rito ordinario scaturito dall’inchiesta che nel maggio 2017 portò all’operazione interforze Jonny, con cui fu fatta luce, tra l’altro, sui tentacoli della cosca Arena di Isola Capo Rizzuto sul Centro d’accoglienza S. Anna, tra le strutture per migranti più grandi d’Europa.

Mentre il troncone processuale svoltosi col rito abbreviato si è concluso in Appello con condanne per 650 anni per 63 imputati.  Attualmente agli arresti domiciliari a Rovereto, nell’istituto di carità intitolato ad Antonio Rosmini, il grande filosofo e teologo venerato dal 2007 come beato dalla Chiesa cattolica che nel centro in provincia di Trento nacque, e della cui dottrina Scordio si diceva seguace, l’ex parroco è ritenuto al vertice del sistema attraverso cui la cosca Arena avrebbe lucrato sul business dei migranti. Il “gruppo economico” di cui faceva parte, con sbilanciamento, in termini di rapporti di forza, in favore di Leonardo Sacco, ex governatore della Misericordia di Isola – che nel filone del rito abbreviato si è beccato 20 anni – ma anche “socio occulto e amministratore di fatto” della società Quadrifoglio, principale azienda di catering servente il Cara, avrebbe, infatti, realizzato un vero e proprio affare sulla pelle dei profughi: le somme per la loro assistenza sarebbero state distratte per oltre un decennio.

A quanto pare senza che la Prefettura “reagisse”, manco quando i pasti per i migranti diminuivano all’inverosimile.

«Sulla frode molti testi si sono soffermati – osservano i giudici di secondo grado – per evidenziare che la Misericordia realizzò veri e propri artifici quali quello di comunicare alla Prefettura, che chiedeva delucidazioni in merito, che il conteggio delle presenze era fatto attraverso il numero dei pasti effettivi mentre in realtà si seguiva il criterio delle presenze. Spesso quindi capitava che veniva inviato poco vitto per il variare delle assenze. La Prefettura dal canto suo, pur non disponendo di tutta la documentazione (fatture) a partire quantomeno dal 2011, non ebbe alcuna reazione». Eppure il dato della «irrisorietà dei pasti» è «testimoniato anche dalle telecamere».

Il livello istituzionale è stato soltanto sfiorato dall’inchiesta, e appena un mese fa, a cinque anni dalla maxi retata, un funzionario non apicale dell’ufficio territoriale di Governo si è beccato un avviso di conclusione delle indagini per una presunta mazzetta di 10mila euro. I giudici confermano il quadro complessivo a carico di Scordio, a partire dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sul business dei migranti, riscontrate dagli accertamenti contabili su flussi bancari e conti correnti delle società fornirtici coinvolte che avrebbero consentito di documentare operazioni di riciclaggio.

«L’apporto fornito dallo Scordio – scrive la Corte presieduta da Fabrizio Cosentino (a latere Adriana Pezzo) – non si è limitato al conferimento al sodalizio di un contributo episodico e temporalmente limitato…detto apporto viene invece considerato funzionale agli interessi dell’organizzazione criminale e volto alla predisposizione di metodologie fraudolente attraverso le quali il sodalizio è riuscito ad esercitare anche il controllo sulla gestione del Centro d’accoglienza S. Anna partecipando all’esecuzione dei reati fine essenziali per la vita dell’associazione». Sempre secondo i giudici, «l’imputato agiva in un contesto strutturato e diretto dagli esponenti della cosca Arena nel perseguimento del comune obiettivo di arricchimento personale e della cosca». Del resto, «è stato dimostrato che dall’attività in contestazione la cosca ha ricavato lauti mezzi per il mantenimento dei suoi sodali e il sostentamento delle spese necessarie per i detenuti nonché per intraprendere altri redditizi traffici e disporre delle risorse da impiegare nel prestito a usura». Insomma, facendo la cresta sul cibo per i migranti la cosca, grazie alla condotta «essenziale» di Scordio ritenuto pertanto «organizzatore», la cosca è riuscita a ricavare proventi da reimpiegare nelle attività criminose rafforzando la sua presenza nel territorio.

E ancora: «Lungi dallo svolgere le sue funzioni di attuazione della solidarietà mediante supporto ai deboli, l’organo locale delle Misericordie d’Italia ha svolto il ruolo di collettore delle provvidenze pubbliche per il seppur parziale convoglio delle medesime verso le casse della criminalità organizzata la quale ha doppiamente lucrato ricevendo denaro attraverso la falsa fatturazione e godendo di vantaggi di vario genere (denaro liquido, posti di lavoro) fruiti a mera richiesta grazie alla disponibilità delle imprese variamente collegate all’affare». L’affare Misericordia, che, come ricordano sempre i giudici, viene proposto direttamente ai vertici della cosca da quel «sacerdote insospettabile».

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