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Indagati monitorati nel corso delle indagini

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CUTRO (CROTONE) – Venticinque condanne, 10 assoluzioni, 96 rinvii a giudizio, 6 proscioglimenti, 37 patteggiamenti, quattro prescrizioni. Sono le decisioni del gup del Tribunale di Reggio Emilia Andrea Rat che, in buona sostanza, ha accolto le richieste del pm Antimafia di Bologna Giacomo Forte nel mega procedimento che portò all’operazione “Billions”. Erano 178 gli imputati approdati al vaglio del gup dopo che, nel settembre 2020, la Dda bolognese scoperchiò una piramide di finanza illecita basata, secondo l’accusa, sulle false fatturazioni. Tant’è che venne fatto un maxi sequestro di 24 milioni ritenuti provento di operazioni illegali. Gli imputati, in gran parte originari di Cutro e del Crotonese, erano accusati di far parte di un’organizzazione criminale attiva in 14 regioni e specializzata nell’offrire “servizi” di emissione di fatture per operazioni inesistenti, con cui sarebbe stato consentito alle imprese beneficiarie l’abbattimento dei propri redditi imponibili.

Il sodalizio, stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, era particolarmente articolato nei ruoli e nelle competenze. I capi gestivano dieci cellule operative che potevano contare su società di comodo (delle vere e proprie “cartiere”) create al solo scopo di emettere fatture false. C’erano poi dei “prelevatori” professionali di denaro da sportelli bancomat e procacciatori di società interessate a ottenere i servizi finanziari illegali. Infine, nel gradino più basso della gerarchia criminale, una vasta schiera di “prestanome” di aziende che emettevano le fatture.

Il modus operandi era questo, sempre secondo gli inquirenti: l’impresa beneficiaria procedeva al pagamento integrale della falsa fattura, l’importo veniva quindi prelevato in contanti da quanti venivano appositamente incaricati i quali, per non destare sospetti, eseguivano numerose operazioni nei bancomat di diversi uffici postali. Il denaro veniva infine consegnato ai capi dell’associazione che lo restituivano alle imprese beneficiarie, al netto di una “commissione” per il “servizio” prestato. Le somme movimentate in questo modo sono state stimate in 240 milioni.

Tra i reati contestati anche l’autoriciclaggio, che gli organizzatori effettuavano attraverso società estere su cui trasferivano parte dei guadagni criminali, che venivano poi reinvestiti, sempre fuori Italia, in attività commerciali lecite. Un altro capo di imputazione riguarda la bancarotta fraudolenta per la “dismissione” di quattro società “cartiere” non più utili al disegno criminale, del valore di oltre 7 milioni.

Alcuni degli imputati – è il caso di Luigi Brugnano, Giuseppe Aloi e Alfonso Frontera, i primi due condannati, il terzo a giudizio – sono stati coinvolti nell’inchiesta Aemilia, quella contro la filiale emiliana della cosca capeggiata dal boss ergastolano Nicolino Grande Aracri, la piovra con testa a Cutro e tentacoli in mezza Italia finita al centro del maxi processo più grande contro le mafie al Nord. A un altro – Roberto Soda, anche lui a giudizio – proprio ieri la Dda di Bologna ha sequestrato beni per 300mila euro dopo che già era stato destinatario di interdittiva antimafia.

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