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CUTRO (KR) – Il gip del Tribunale di Pavia Maria Cristina Lapi ha archiviato il procedimento a carico della direttrice del carcere di Voghera, Stefania Mussio, nei cui confronti era stato aperto un procedimento per omissioni d’atti d’ufficio in seguito alla denuncia dei familiari di Antonio Ribecco, presunto referente in Umbria della cosca Trapasso di San Leonardo di Cutro, morto il 9 aprile 2020 all’ospedale San Carlo di Milano dopo aver contratto il Coronavirus nel penitenziario.

Ribecco fu la prima vittima del Covid in carcere. Il procedimento è stato archiviato nonostante l’opposizione dei legali dei familiari della vittima, gli avvocati Giuseppe Alfì e Garetano Figoli, alla richiesta di archiviazione che era stata avanzata dalla pm Valentina Terrile.

Gli avvocati evidenziavano, tra l’altro, come dalla relazione del consulente del pm si evinca che «effettivamente può dirsi che vi sia stata negligenza da parte dei sanitari del carcere che fino al 14 marzo non hanno pensato che i sintomi presentati da Antonio Ribecco fossero dovuti al Covid 17».

E nonostante la direttrice del carcere avesse imposto, come emerge dalle testimonianze di alcuni agenti sentiti nell’ambito di indagini difensive, che all’interno del penitenziario «ci si doveva comportare come se fuori non stesse accadendo nulla». Lo stesso gip nel suo provvedimento fa riferimento a indagini difensive da cui viene fuori che, secondo le testimonianze di alcuni agenti, Mussio aveva imposto al personale di non indossare mascherine per non creare allarmismi tra i detenuti. Con conseguenti assembramenti negli spazi comuni dove si gioca a carte e si fuma.

Ribecco era detenuto dal 12 dicembre 2019 dopo essere stato arrestato nell’ambito dell’operazione Infectio, scaturita da un’inchiesta condotta dalle Dda di Catanzaro e di Perugia. Contrasse il Covid-19 nel carcere dove, essendo risultato infetto e ricoverato anche il cappellano, gli ospiti avevano insistito nel chiedere guanti, mascherine e tamponi. Temendo il peggio, Ribecco (ristretto in una cella con altre tre persone) aveva scritto ai familiari, con i quali aveva intrattenuto l’ultimo colloquio il 15 febbraio, una lettera in cui spiegava come veniva gestita l’emergenza.

Sebbene avesse lamentato dolori e malessere sin dai primi giorni di marzo, fu sottoposto a visita medica soltanto il 13 dello stesso mese ma il dottore accertò lo stato febbrile, trattato con una Tachiprina, e non individuò i sintomi del Covid, al quale risultò positivo il giorno dopo. Il gip precisa che si era nella “primissima” fase del Covid e «non esistevano terapie ad hoc» né «linee guida pubblicate ai sensi di legge» e «perfino gli esperti erano in difficoltà e spesso in contrasto tra loro nell’individuazione di un rimedio efficace contro il virus». Ribecco, spiega sempre il gip, si ammalò pochi giorni dopo il cosiddetto “paziente 1” di Codogno, che segnò l’inizio della pandemia. «Il caos e l’incertezza che per settimane hanno regnato anche nel mondo della scienza e degli esperti – scrive il gip – consentono di escludere qualsiasi profilo di colpa in capo alla struttura carceraria per la gestione della malattia di Ribecco».

Nonostante la “negligenza” dei medici di cui si parla nella relazione del consulente del pm, lo stesso consulente stabilisce che non è possibile affermare che l’individuazione precoce della malattia avrebbe scongiurato l’esito infausto. Il consulente della difesa, invece, asserisce che la diagnosi corretta avrebbe portato ad una terapia adeguata. La conclusione del gip è che «non si può parlare di terapia adeguata perché nel periodo in cui sono avvenuti i fatti non era stata individuata nessuna terapia ad hoc».

Non ci stanno i legali dei familiari della vittima, che hanno chiesto alla Procura di Bergamo di poter acquisire gli atti del procedimento che vede indagati, tra gli altri, l’ex premier Conte e l’ex ministro della Salute Speranza per la gestione della pandemia. Una richiesta finalizzata ad «acquisire elementi – spiega l’avvocato Alfì al Quotidiano – per un’eventuale richiesta di riapertura delle indagini su eventuali responsabilità, oltre che della direzione del carcere, anche della gestione governativa e del personale sanitario per la mancata adozione di cautele che potrebbero aver determinato l’evento morte».

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