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Nicolino Grande Aracri

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PETILIA POLICASTRO (KR) – Il 16 aprile 2021, il giorno in cui il Quotidiano diede la clamorosa notizia (poi ripresa da tutti i media) della collaborazione con la giustizia da parte del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, tremavano gli uomini delle cosche di mezza Calabria. Forse tremavano anche i palazzi del potere.

Temeva, in particolare, anche Nicola Comberiati, che secondo la Dda di Catanzaro, in seguito alla detenzione del padre, il boss Vincenzo Comberiati, era divenuto il reggente della cosca di Petilia Policastro. E se la sua interlocutrice osservava che c’era qualcosa di “strano”, in quel pentimento, che non le tornava, lui replicava: «No, è più di un mese che sta parlando… pure a Raidue lo hanno detto».

La storia dirà poi che quel principio di collaborazione si sarebbe rivelato una farsa, nel senso che il mammasantissima puntava ad alterare dati processuali cristallizzati e salvare i più stretti familiari da indagini vecchie e nuove. Ma la notizia era vera. Anche Santo Curcio, nipote di Rosario Curcio, che era stato arrestato qualche mese prima nell’operazione Eleo con l’accusa di essere un esponente di vertice del clan petilino, contattò Comberiati per parlargli di «un mezzo discorso che è successo». «Ma del sindaco o dell’altro?», chiede la donna, perché sempre quel giorno a Petilia fu arrestato l’ex sindaco Amedeo Nicolazzi.

Ma i rampolli del clan non erano preoccupati del terremoto politico-giudiziario quanto del pentimento di Grande Aracri che avrebbe potuto svelare agli inquirenti informazioni in grado di decapitare le cosche. «Dell’altro». Altra conversazione di particolare importanza, secondo la ricostruzione dei pm Antimafia Domenico Guarascio, Paolo Sirleo e Pasquale Mandolfino, che hanno coordinato le indagini dei carabinieri della Compagnia di Petilia grazie alle quali Comberiati è finito in carcere per mafia, estorsioni e usura, sarebbe quella da lui intrattenuta con Francesco Bagnato, il figlio di Santo, boss di Roccabernarda. Sempre il 16 aprile. «Sono appena andato a comprare il giornale… non escono più i nostri se questo comincia  a parlare». «È diventato pazzo», la risposta di Comberiati, che aggiunge: «non lo vedi questo… boss, boss, boss…poi sei anni di 41 (41 bis, ndr)… quando c’è il benestare tutti buoni stanno».

E Francesco Bagnato: «Io ti dico una cosa, uno è meglio che muore se deve pentirsi». Poi Comberiati osserva che «non è mai successo che uno del genere si pentiva, finché sono ragazzi…», con riferimento al ruolo di primissimo piano di Grande Aracri nel panorama ‘ndranghetistico. Ne parla anche Marianna Ierardi, moglie di Nicola Comberiati, in un altro colloquio captato dagli inquirenti. «Questo può dire che quando sono andate là volevano ammazzare Nicola», dice riferendosi al marito. Un brano che trova riscontro negli atti dell’inchiesta Kyterion sulla super cosca cutrese perché nella tavernetta del boss di Cutro la moglie di Vincenzo Comberiati sarebbe andata per chiedergli di proteggere la sua famiglia in quanto i figli venivano additati, negli ambienti criminali, come autori dell’omicidio di Vincenzo Manfreda. «Compare mio, che mi hanno detto che voi siete il comandante della provincia», diceva Grande Aracri, ripetendo quello che la donna le avrebbe riferito. Seguono una serie di ulteriori conversazioni in cui Nicola Comberiati stigmatizza il fenomeno del pentitismo e in particolare la scelta di Grande Aracri. «Un capo ‘ndrina… uomini della Santa Spina della Madonna e si buttano pentiti… 240 milioni di euro».

Comberiati è in «stato di agitazione», commentano gli inquirenti, che da questo e da altri brani desumono che rivesta un ruolo apicale nella consorteria criminale petilina e pertanto ha molto da temere su quanto Grande Aracri potrebbe riferire. A un certo punto si spinge a ipotizzare che se Grande Aracri dicesse quello che sa sul suo conto lui verrebbe condannato a 20 anni di carcere, tant’è che si mette a rileggere la documentazione giudiziaria in suo possesso, anche carte vecchie. A quel punto l’interlocutrice lo richiama ad una maggiore prudenza nella gestione del denaro con riferimento all’instabilità economica, se le risorse provengono da attività illecite. «Già ‘sto parlare che fai tu… che puoi comprarti questo e quell’altro a me mi sta un pochettino sul c…. e poi domani vai a chiedere i soldi a qualcuno perché non ne hai più, comincia a essere più umile, perché si sa com’è il giro, oggi hai i soldi e domani sei un poveraccio». Saggezza, o senso pratico, femminile.

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