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CUTRO (KR) – Nel giorno in cui un’altra salma – quella di un trentenne, la numero 88 – viene rinvenuta a Praialonga, poco distante da Steccato di Cutro, dove il 26 febbraio scorso un barcone si è schiantato contro una secca, in aula, nel corso dell’incidente probatorio che si sta celebrando dinanzi al Tribunale minorile di Catanzaro a carico di un presunto scafista pakistano che non ha ancora compiuto 18 anni (lo assiste l’avvocato Salvatore Perri), soltanto uno su tre superstiti si presentano per testimoniare.

Due sono irreperibili. Forse hanno già raggiunto le mete dell’esodo. Per uno la notifica dell’udienza è andata a buon fine ma non si è presentato e per il questo il gip Donatella Garcea ha disposto l’accompagnamento coatto in aula per il prossimo 4 aprile: è peraltro colui che ha fornito elementi, nel corso del verbale di sommarie informazioni reso alla Squadra Mobile della Questura di Crotone, sugli organizzatori afghani della tragica traversata, facendo riferimento a somme consegnate a Kabul ai trafficanti. Il teste sentito ieri, assistito dall’avvocato Domenico Poerio, è un iraniano che, incalzato dal pm Maria Rita Tartaglia ma anche dall’avvocato Francesco Verri, del pool di legali che rappresenta i familiari delle vittime, ha aggiunto altri tasselli alla ricostruzione di un dramma e, in particolare, precisa che i trafficanti sanno chi sono i superstiti vivi, e che hanno incassato il bottino anche dopo il massacro.

«Sono andato via dall’Iran, sono stato in Turchia per due anni. Per l’Italia sono partito da Smirne – ha detto il naufrago -. La prima barca non era adatta per tante persone, era bianca, di 19, forse 20 metri, era a tre piani. Ai primi due hanno sistemato i migranti, al terzo i comandanti, chi guidava era un siriano. Ci hanno preso i telefonini. Sulla seconda barca, eravamo tutti sotto coperta. Era vecchia, potevamo salire solo per prendere una boccata d’aria. Eravamo stretti, non c’era posto per sederci tutti. Il mare è stato calmo, poi ha iniziato ad agitarsi, ci siamo spaventati».

Ma ecco il passaggio sui trafficanti. «Ho pagato 8300 euro vincolati, se fossimo arrivati, i trafficanti li avrebbero ricevuti tramite money transfert. I familiari dei parenti hanno fatto visita ai superstiti nel centro di S. Anna, hanno fatto le foto e così i trafficanti hanno saputo chi era vivo. Sapevamo di dover arrivare il 24 febbraio, ho capito di essere arrivato in acque italiane perché ce lo hanno detto le persone che si occupavano della barca, che ci hanno dato i telefoni. Era notte. Dopo un giorno abbiamo visto le luci dalla costa, eravamo in ritardo ma già prima di partire sapevamo che le condizioni sarebbero peggiorate, le onde erano molto alte, eravamo agitati ma gli scafisti ci rassicuravano dicendo che eravamo quasi arrivati, la barca andava veloce. La notte del 25, quando il mare era molto agitato, dicevamo agli scafisti di non ritardare, perché la barca aveva rallentato in quanto volevano arrivare di notte».

Impossibile chiamare i soccorsi, perché a bordo gli scafisti avevano un apparecchio che inibisce la connessione. «Anche quando ci hanno dato i telefonini non avevamo linea perché c’era uno jammer, hanno provato tutti a chiamare i soccorsi ma non c’era linea. Abbiamo chiesto agli scafisti di chiamare i soccorsi ma ci hanno detto che non c’era bisogno, non li hanno voluto chiamare neppure vicino alla costa. Le condizioni del mare erano così peggiorate che gli scafisti ci hanno fatto salire sopra. Ci eravamo preparati, avevamo indossato gli zaini, gli scafisti puntavano verso la spiaggia ma hanno visto delle luci a terra pensando che fosse la polizia. Hanno fatto una manovra improvvisa per scappare, le onde alte hanno fatto inclinare la barca, poi è avvenuto l’urto».

Il teste non sa se gli scafisti si siano lanciati in mare con un tender, anche se così gli hanno detto, ma ricorda che nessuno lo ha aiutato una volta finito in acqua. «Ho nuotato 20, 30 minuti prima di arrivare a riva, a terra c’erano i carabinieri, nessuno mi ha aiutato. I carabinieri hanno accompagnato le persone che uscivano dall’acqua a sedere». Intanto la risacca restituiva corpi senza vita.

«Sono stati tre giorni drammatici. Ascoltare dal vivo il racconto dell’odissea vissuta dai superstiti ci ha permesso di immedesimarci ancora di più e di capire meglio molti fatti. Per esempio, gli scafisti a un certo punto hanno rallentato la navigazione. Volevano arrivare di notte perché per le forze di polizia sarebbe stato più difficile intervenire», commenta l’avvocato Francesco Verri, al termine della terza udienza dell’incidente probatorio, ma ce ne saranno altre tre. «Specularmente, diciamo noi, le autorità avrebbero dovuto dare maggiore attenzione. Poi c’è il tema dei soccorsi – dice il legale -. Assad, il fratellino morto di freddo e lo zio sono stati in mare per tre ore. Abbiamo raccolto anche queste notizie in aula. E quando i primi superstiti sono arrivati a terra non c’era ancora nessuno. Solo un pescatore. Cominciamo a emergere molti frammenti di verità. Andiamo avanti. La magistratura scoprirà tutto e noi daremo il nostro instancabile contributo».

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