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Cancellata una condanna definitiva a 30 anni per l’omicidio Masucci avvenuto nella Centrale a Biomasse di Strongoli

STRONGOLI – Troppe contraddizioni nella versione del pentito che si pentì di essersi pentito e poi si ripentì. Per questo la Corte d’Appello di Napoli, accogliendo la richiesta di revisione avanzata dagli avvocati Gianni Russano e Antonio Marotta, ha revocato la sentenza, che era divenuta definitiva.

Sentenza con cui, nel novembre 2013, la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro condannò a 30 anni Giuseppe Mario Fazio (che in primo grado aveva avuto l’ergastolo) per l’omicidio di Michele Masucci, compiuto il 27 novembre 2007 all’interno della centrale a biomasse, dove la vittima lavorava, e maturato in un contesto di ‘ndrangheta.

Contestualmente, i giudici partenopei hanno ordinato la scarcerazione di Fazio. Un fatto straordinario. Non è usuale che una sentenza passata in giudicato venga revisionata. E azzerata. Ma gli avvocati Russano e Marotta ci hanno creduto, facendo emergere fatti nuovi, e alla fine hanno avuto ragione.

OMICIDIO MASUCCI LA RICOSTRUZIONE DELLA CONDANNA ORA CANCELLATA

Fazio e il coimputato Donatello Lerose, che scelse il rito ordinario e nell’agosto 2012 era stato assolto, erano accusati di aver procurato lo scooter ed il fucile poi utilizzati nell’agguato. Disponendo che gli stessi fossero custoditi da Francesco Tornicchio, condannato all’ergastolo e poi divenuto collaboratore di giustizia.

Il primo, stando alle accuse ormai crollate, avrebbe esploso contro Masucci diversi colpi di fucile calibro 12, due dei quali lo attinsero al capo. Il secondo avrebbe guidato lo scooter per raggiungere il luogo dell’omicidio. Tornicchio avrebbe custodito moto e fucile usati nell’agguato. Proprio da quell’assassinio prese le mosse l’indagine che all’alba del 25 settembre 2009 portò all’operazione “Apocalypse now”, con un’appendice nell’aprile dell’anno successivo, sgominando il clan Tornicchio. Ne scaturirono tre distinti processi, compreso quello per la strage ai campetti del giugno 2009 in cui morì il piccolo Dodò.

LE RICHIESTE DI REVISIONE AVANZATE DALLA DIFESA

Una prima istanza di revisione fu dichiarata inammissibile dalla Corte d’Appello di Salerno con un’ordinanza impugnata dalla difesa e poi annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione, ciò che determinò la riapertura dell’istruttoria. In particolare, la difesa ha evidenziato che Tornicchio aveva ricostruito la vicenda in termini radicalmente diversi da quanto esposto nelle dichiarazioni del 2008. Prospettando, tra l’altro, per la prima volta, un proprio diretto coinvolgimento nell’omicidio. Inoltre, aveva anche accusato alcune persone di pressioni indebite ai danni del fratello Luigi, correlate alle alterne vicende del suo percorso collaborativo.

Dopo le rivelazioni del 2008, Tornicchio fu sottoposto a un programma di protezione in una località protetta da cui era peraltro fuggito. Per poi di nuovo manifestare, nel 2010, la sua volontà di collaborare, a cui seguì la ritrattazione fino all’ultima decisione, presa nel 2019, di tornare a collaborare con la giustizia. La difesa aveva pertanto sollecitato l’escussione delle persone che secondo Tornicchio avrebbero preso parte alle riunioni preparatorie dell’azione delittuosa, dello stesso Luigi Tornicchio e di coloro che lo avrebbero intimidito.

LE TESI A SOSTEGNO DELLA RIAPERTURA DEL CASO

Richieste istruttorie che, sempre secondo la difesa, non potevano essere interpretate come un tardivo esercizio della facoltà di addurre prove nuove nel giudizio di revisione. Richieste evidentemente accolte dai giudici di Napoli che hanno ritenuto che le motivazioni della decisione della Corte territoriale fossero viziate. Tanto più che una “prova nuova” era stata prodotta anzitutto dal procuratore generale, con il deposito di dichiarazioni successive alla richiesta di revisione e diverse dalle precedenti. Ma c’è di più.

La difesa aveva valorizzato il fatto che, durante un colloquio intercettato, i parenti di Tornicchio avevano riferito al collaboratore di giustizia alcuni particolari dell’omicidio. Circostanza ritenuta dai giudici poco significativa, ed anzi “normale”, alla luce delle precedenti dichiarazioni del loro congiunto con le quali si era detto estraneo al fatto di sangue. Ma che diveniva del tutto illogica nella nuova prospettiva aperta dalle ultime rivelazioni, stando alle quali egli aveva direttamente partecipato all’omicidio insieme a Fazio e ad altre persone.

I difensori avevano peraltro chiesto di sentire anche un ufficiale dei carabinieri del Ris di Messina che aveva escluso particelle riconducibili a colpi d’arma da fuoco in seguito ai prelievi stub su Fazio. La difesa ha evidenziato anche il fatto che la versione di Tornicchio fosse smentita da rilievi planimetrici e fotografici e accertamenti tecnico-scientifici.

LE CONTRADDIZIONI NELLA RICOSTRUZIONE DELL’AGGRESSIONE

Secondo la Corte territoriale, infatti, era emersa un’aggressione compiuta dagli imputati in posizione quasi frontale rispetto alla vittima, attinta in pieno volto da due colpi entrati “nella regione frontale sinistra”. Secondo la ricostruzione del collaboratore di giustizia, egli, insieme ai due complici, si sarebbe nascosto in un angolo del capannone in attesa di Masucci. Questi, appena giunto all’interno, “veniva immediatamente seguito ed accerchiato alle spalle dal Lerose e dal Tornicchio, che si posizionavano ai lati. Mentre il Fazio, posizionatosi dietro la vittima, gli sparava tre volte alle spalle, attingendolo mortalmente”.

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