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Leonardo Sacco

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ISOLA CAPO RIZZUTO (KR) – Né «illogica». Né «contraddittoria». Così la Corte di Cassazione definisce la sentenza con cui la Corte d’Appello di Catanzaro, condannando a 20 anni l’ex governatore della Misericordia Leonardo Sacco a 20 anni di reclusione nel processo scaturito dall’inchiesta sfociata, nel maggio 2017, nell’operazione Jonny, con cui fu inferto un duro colpo alla cosca Arena che, secondo l’accusa, lucrava, anche, sulla pelle dei migranti accolti nel Cara S. Anna, lo riteneva «parte del tessuto organizzativo del sodalizio», avendo egli assunto «in via stabile e continuativa, a partire dal 2002 e per un decennio, un ben delineato ruolo funzionale al perseguimento di fini criminosi».

Sono stati depositati i motivi della sentenza con cui i supremi giudici, nel febbraio scorso, pur facendo divenire definitive 13 condanne, annullarono con rinvio una quarantina di pene dopo che, in secondo grado, nel giugno 2021, erano stati inflitti sei secoli e mezzo di carcere nel filone processuale del rito abbreviato. Anche la condanna di Sacco è stata annullata con rinvio ma con riferimento (anche) al ruolo di organizzatore della cosca. Un bisticcio di parole? Da rivalutare se sia organizzatore, Sacco, ma è «parte del tessuto organizzativo».

Analizziamo la posizione dell’imputato chiave, ritenuto, peraltro, l’”ispiratore” del patto col clan, come vedremo, anche se è ancora da chiarire se ne sia stato l’organizzatore. «A seguito dell’accordo con la cosca, di cui era stato ispiratore e in sua puntuale esecuzione, sfruttando e strumentalizzando la sua carica di governatore della Fraternita di Isola Capo Rizzuto e dal 2012 al 2015 anche quella di vicepresidente nazionale della Confederazione delle Misericordie d’Italia, aveva realizzato – scrivono gli ermellini – una pluralità di condotte funzionali a consentire alla cosca una vera e propria gestione diretta del centro d’accoglienza dei migranti nelle sue diverse articolazioni con l’accaparramento di tutte le attività economiche più redditizie appaltate dall’ente, la Misericordia di Isola Capo Rizzuto, da lui controllato».

Sempre secondo i giudici, «Sacco, seguendo le direttive dei vertici del sodalizio per un lungo arco di tempo, aveva, in modo sistematico, predisposto i bandi di gara in modo da selezionare i subappaltatori dei servizi più remunerativi, quale quello della somministrazione dei pasti, indefettibilmente tra le imprese, affidate alla gestione di associati di fiducia, alcune delle quali da lui stesso controllate».

Così, attraverso vari metodi illeciti quale quello delle “fatture gonfiate”, avrebbe consentito alle società subappaltatrici di «appropriarsi di gran parte delle risorse stanziate per l’assistenza ai migranti». Risorse che, «una volta erogate, quale corrispettivo di servizi solo formalmente resi, venivano prelevate dai conti delle aziende fornitrici e impiegate per effettuare altri lucrosi investimenti per soddisfare scopi e bisogni dell’associazione mafiosa, in particolare il sostentamento dei sodali e delle loro famiglie, oltre che le esigenze di locupletazione personale dello stesso Sacco».

Tutto ciò è stato desunto dalla Corte d’Appello con «argomentazioni ineccepibili». Né vittima, né imprenditore colluso, né concorrente esterno. Per i giudici, Sacco ha «consapevolmente messo a disposizione del sodalizio la Misericordia e le altre imprese da lui controllate, in via stabile e continuativa». Eppure va approfondito se sia stato l’organizzatore, se, cioè, l’ex governatore della Misericordia abbia avuto «potere decisionale anche nell’ambito del sodalizio mafioso».

Se «al controllo di fatto esercitato nella gestione delle imprese a servizio della cosca» corrispondesse autonomia nelle scelte di gestione o se questa fosse esclusa dal «carattere vincolante delle direttive dei vertici dell’associazione». Analogamente, i giudici ritengono «parte del tessuto organizzativo del sodalizio» Antonio e Fernando Poerio, con «compiti di rilievo» nel cosiddetto affaire Misericordia. C’era un «certo margine di autonomia» ma con «obbligo di rendicontazione ai vertici» della consorteria mafiosa che «accettando e mettendo in atto la proposta avanzata dal sacerdote Scordio e dal rappresentante della Misericordia locale Sacco aveva costituito una pluralità di imprese, affidate alla gestione di associati di fiducia, ottenendo l’assegnazione, nelle varie strutture del Centro d’accoglienza, dei servizi più remunerativi».

È appena il caso di ricordare che nelle settimane scorse la condanna per associazione mafiosa di Scordio a 8 anni e 8 mesi è stata annullata con rinvio nel troncone processuale svoltosi col rito ordinario. Ma quell’associazione mafiosa, pure riconosciuta dai giudici della Cassazione, non è armata, perché ciò non si può desumere dalla mera disponibilità di armi della cosca Arena, né finalizzata al riciclaggio, perché non c’è prova del reimpiego illecito di denaro.

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