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CUTRO (CROTONE) – “Fatturisti”, alle prese con “valanghe” di bonifici, e, quando occorre, “azionisti”, in grado di rispolverare i metodi violenti. È il profilo delle giovani leve della cellula emiliana della super associazione mafiosa con testa a Cutro, o almeno in questi termini lo tratteggia il collaboratore di giustizia Salvatore Muto. Scorrendo le carte dell’inchiesta che ha portato all’operazione “Perseverance 2”, balza all’attenzione quanto dice il pentito agli inquirenti della Dda di Bologna su Domenico Caporale, che definisce come una persona “vicina” al cugino omonimo del collaboratore di giustizia, già condannato a 16 anni quale vertice del fatturificio ‘ndranghetista con saldi legami con la cosca Grande Aracri.

Ma Caporale era vicino anche agli altri cugini del pentito, Luigi e Antonio, coinvolti nel processo Aemilia, i quali «lo utilizzavano – almeno questo sostiene il collaboratore di giustizia – anche come “azionista”. Per esempio Antonio Muto classe ’78, durante il periodo insieme nel carcere di Reggio Emilia – rivela la gola profonda del clan – mi ha raccontato che Caporale era stato mandato ad avvicinare persone siciliane vittime di estorsione per indurle a riferire il falso alle udienze del processo Aemilia. Sia Luigi che Antonio Muto li ho visti insieme a Caporale – aggiunge – e ho saputo direttamente dai miei cugini che, per conto di questi ultimi, Caporale andava a prelevare denaro negli sportelli bancomat ed emetteva fatture per operazioni inesistenti. Mio fratello Carmine – ha aggiunto ancora il pentito – ha operato nel campo delle false fatturazioni con Caporale. Non so se oggi sia formalmente affiliato, quando ero libero non lo era ritualmente, ma era persona a disposizione della ‘ndrangheta».

In particolare, il ruolo di Caporale nel presunto sodalizio dedito alle false fatturazioni sarebbe stato quello di veicolare il denaro delle cartiere riferibili a Salvatore Muto classe ’85 (cugino del pentito) i bonifici delle società utilizzatrici per la successiva monetizzazione e restituzione, in contanti, del denaro. Il paradosso era che il numero di bonifici era così elevato – «ce n’è una valanga» – da provocare la reazione stizzita di Muto (classe ’85) in difficoltà nel monetizzare celermente somme così rilevanti redigendo al contempo le fatture. «Caporà, devi tribolare pure tu, o il giorno devo cacciare i soldi». La quantità di denaro movimentato, insomma, era enorme e ciò complicava l’attività di prelievo e restituzione in tempi brevi. «Abbiamo qualcosa domani?» «Ce n’è una valanga».

Ma vediamo il ruolo dei sodali di Salvatore Muto classe ‘85, presunto vertice del fatturificio cutrese, in buona parte ricostruito grazie alle intercettazioni eseguite dalla Squadra Mobile della Questura di Reggio Emilia in un negozio di telefonia che era un po’ la base logistica del clan. Pietro Arabia, Domenico Caporale, Annibale Astio e Sabatino Innocenti avrebbero svolto funzioni di procacciatori di società necessitanti di fatture false. Domenico Pilato sarebbe stato incaricato di monetizzare il denaro bonificato per simulare il pagamento delle fatture inesistenti. Rosario Errico Lopez avrebbe avuto la titolarità di una società cartiera riferibile a Muto. Sabatino Innocenti avrebbe sfruttato le cartiere – a lui non riconducibili ma di fatto nella sua piena disponibilità – per emettere fatture per operazioni inesistenti garantendosi una provvigione calcolata in termini percentuali. Domenico Caporale avrebbe svolto il ruolo di procacciatore di persone bisognose di abbattere il proprio imponibile fiscale.

In generale, Muto si sarebbe avvalso di una rete di collaboratori al fine di interporre un diaframma tra la propria persona e gli utilizzatori delle fatture false. «Ci dobbiamo organizzare, ragazzi, stasera è già pronto, ho 20mila euro sopra il conto, Caporà non ce la stiamo facendo a cacciarli, lo sai che ci sono pure quegli altri?». C’è anche una conversazione tra Salvatore Muto e Pietro Arabia che documenterebbe un lungo elenco di società destinatarie di fatture false emesse da cartiere riconducibili allo stesso Muto. Un’attività incessante, fatta di consultazioni reciproche e imprecazioni perché i due a un certo punto pensano di non farcela “per settembre”. Le captazioni avrebbero documentato anche il ruolo di Domenico Cordua, che peraltro svelerebbe che Muto sta utilizzando il sistema delle false fatturazioni per mantenere i fratelli detenuti. «I problemi reali li abbiamo… prendi Salvatore…due fratelli carcerati e quindi due famiglie a casa da mantenere».

Dopo una perquisizione a società riconducibili a Muto ma intestate a prestanome tra cui la CD System srls di Cordua, la reazione di quest’ultimo sarebbe significativa perché riporta la frode a un contesto di ‘ndrangheta e manifesta il timore di essere arrestato per associazione mafiosa. «Loro sanno che la CD fattura e lo fa per… il problema è che se fanno il riciclaggio alla ‘ndrangheta fanno un c… tanto… voglio dimostrare che tu le hai fatte per la ‘ndrangheta… se scoprono Salvatore io mi spavento solo per l’associazione che poi lo collegano al fratello, poi arrestano pure a me per l’associazione che è con lui, mi fanno minimo 6 o 7 anni come i fratelli». Coinvolto nell’architettura della frode anche Sabino Innocenti che, per esempio, chiede a Muto una fattura emessa da una ditta “con il Durc” per un coprire un prestito a lui fatto. «Quanto ti deve dare?». «Due piccole, pagamenti in contanti, una di 5000 e una di 3000». Domenico Pilato sarebbe attivo, infine, nel “giro-posta” effettuato in varie città dell’Emilia Romagna per prelevare contanti da restituire alle società compiacenti e in parte da trattenere per il “servizio”. Anche Annibale Astio sarebbe organico all’attività di falsa fatturazione tanto più che, a parte una serie di conversazioni dal tenore inequivocabile, aveva le chiavi del negozio in cui si smaltivano le pratiche del fatturificio.

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