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CROTONE – «Il mero rapporto di parentela tra la titolare dell’impresa destinataria dell’impugnato diniego di iscrizione ed il suo unico dipendente, coniugato con la nipote di soggetto controindicato, non sia sufficiente, secondo canoni di logicità e verosimiglianza, a concretizzare il pericolo di condizionamento dell’attività dalla stessa svolta da parte della criminalità organizzata»: è quanto ha deciso il consiglio di Stato lo scorso 31 agosto accogliendo il ricorso presentato dall’avvocato Gaetano Liperoti contro un’interdittiva antimafia con cui il Prefetto di Crotone (nel febbraio scorso) aveva negato ad un’impresa di iscriversi nella “white list” per l’ottenimento di autorizzazioni e licenze da parte della pubblica amministrazione.

Lo stesso Consiglio, sospendendo l’interdittiva prefettizia, ha evidenziando che la decisione si fondava su dati «privi dei requisiti di specificità e concretezza che devono assistere una plausibile prognosi interdittiva». Inoltre, sempre per l’organo giudicante, «la lacuna istruttoria-motivazionale che inficia, sotto tale profilo, il provvedimento impugnato è suscettibile di essere colmata dalla circostanza, pure in esso evidenziata, che la ricorrente risiede stabilmente in Emilia-Romagna, con la conseguente affermata impossibilità per la stessa di gestire l’impresa che ha la sua sede legale in Calabria, atteso che, da un lato, dalla visura camerale prodotta in giudizio risulta che l’impresa suindicata ha anche una sede locale in provincia di Reggio Emilia».

Ed ancora, il fatto che il raggio operativo della consorteria criminale facente capo allo zio della moglie del suddetto dipendente comprenda il territorio emiliano- romagnolo non è dotata dalla pregnanza indiziaria necessaria a farlo assurgere a fattore giustificativo del provvedimento impugnato». Nello specifico, il Supremo Consesso di giustizia amministrativa (Sezione Terza) per i legali del ricorrenti, «ha così riaffermato che l’interdittiva antimafia, per quanto basata su una valutazione probabilistica, deve essere fondata su elementi precisi e concordanti, ribadendo che i semplici rapporti di parentela o il contesto territoriale di operatività sono dati neutri».

«Le interdittive – commenta l’avvocato Liperoti – sono efficaci strumenti di prevenzione antimafia, assicurando la massima anticipazione della tutela nell’obiettivo di garantire l’impenetrabilità dell’amministrazione pubblica. Proprio per questo, la loro adozione dev’essere presidiata dalla valutazione di specifiche condotte dei destinatari, non potendo essere sufficiente il binomio territoriale Calabria/Emilia Romagna per dedurre la possibilità del condizionamento». I magistrati Pierfrancesco Ungari, Presidente facente funzioni ed i consiglieri Stefania Santoleri, Giovanni Pescatore, Ezio Fedullo e Giovanni Tulumello hanno anche sancito di disporre la compensazione delle spese del doppio grado del giudizio cautelare.

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