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Udienza del maxi processo Stige

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Maxi sentenza ribaltata in appello nel corso del processo “Stige”: azzerate 27 condanne. Assolti gli ex sindaci di Cirò Marina (era pure presidente della Provincia) e Strongoli. Scagionati anche gli ex amministratori di Crucoli e noti imprenditori.

CROTONE – Non regge nel secondo grado del processo “Stige” la tesi accusatoria del patto tra politica clan e della cappa mafiosa sull’economia. Vengono assolti ex amministratori e imprenditori nonostante fossero stati sciolti consigli comunali e fossero state emesse interdittive. E ne esce bene perfino uno dei capi storici del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò come Silvio Farao.

Tra le 27 assoluzioni a fronte di 26 condanne disposte ieri sera dalla Corte d’Appello di Catanzaro non è tanto il numero che deve impressionare ma la qualità degli imputati che scagionati: quasi tutti di spicco. Come l’ex presidente della Provincia di Crotone ed ex sindaco di Cirò Marina Nicodemo Parrilla, in primo grado condannato a 13 anni di reclusione. L’ex sindaco di Strongoli, Michele Laurenzano, che era stato condannato a 8 anni.

L’ex assessore del Comune di Crucoli e l’ex consigliere dello stesso ente Gabriele Cerchiara, che erano stati condannati a 4 anni ciascuno. Tutti assolti, eppure le amministrazioni da loro guidate vennero sciolte per infiltrazioni mafiose. Quella di Cirò Marina, senza che ci fosse neppure bisogno del filtro della commissione d’accesso. Tra gli arrestati, infatti, c’erano diversi amministratori in carica, tra i quali l’ex assessore ai Lavori pubblici Giuseppe Berardi, ritenuto la cerniera tra politica e ‘ndrangheta anche in virtù delle sue parentele, per il quale, invece, la pena è stata rideterminata da 15 anni e 6 mesi a 13 anni.

Sempre secondo l’accusa, rappresentata anche in Appello dal pm Antimafia Domenico Guarascio, che aveva chiesto la sostanziale conferma della sentenza di primo grado, l’imprenditorialità sarebbe stato il tratto caratterizzante della cosca. Per la Dda di Catanzaro, le direttive impartite dal vecchio boss Giuseppe Farao, per il quale la pena è stata rideterminata da 30 a 24 anni, a figli e nipoti erano volte a limitare al massimo il ricorso ad azioni violente e ad evitare gli scontri interni. Il controllo del territorio sarebbe stato poi demandato ad una serie di “reggenti”, fedelissimi al boss, molti dei quali condannati, anche in Appello, nel filone del rito abbreviato, nell’ambito del quale sono state inflitte pene per sei secoli.

Non regge, però, neanche la tesi dell’infiltrazione nell’economia secondo la quale il clan controllava il business dei rifiuti solidi urbani gestito tramite imprese controllate se sono stati assolti anche Antonio Giorgio Bevilacqua (in primo grado condannato a 13 anni e 6 mesi), e Giuseppe Clarà, che era stato condannato a 12 anni. Le loro imprese, la De Rico e la EW&T, sono rette da amministrazioni giudiziarie dopo complesse vicissitudini che hanno portato a sequestri e interdittive. I giudici hanno revocato le confische.

Spicca anche l’assoluzione del noto imprenditore vinicolo Valentino Zito, che ottiene il dissequestro dell’azienda, mentre viene quasi dimezzata la pena per il titolare di un’altra storica cantina cirotana, Pasquale Malena, i cui prodotti sarebbero stati imposti dal clan ai ristoratori tedeschi.

Assolti anche Aniello Esposito, in primo grado condannato a 12 anni e 6 mesi perché ritenuto la longa manus del clan su un centro d’accoglienza di migranti; e Natale Aiello, imprenditore di Botricello che aveva avuto 12 anni e ora ha ottenuto la restituzione di una gelateria.

Ma balza all’attenzione anche l’assoluzione del vigile urbano di Strongoli, Francesco Capalbo, legato da rapporti di parentela con la cosca Giglio, dominante nel centro jonico, al quale l’accusa attribuiva una condotta di mediazione fra le istanze della cosca e il Comune: si è fatto sei anni di arresti domiciliari. Scagionato anche un altro presunto pezzo grosso del clan di Strongoli come Enrico Miglio, che in primo grado ebbe 18 anni.

Insomma, è stato demolito l’impianto di un’inchiesta che si era arricchita del contributo dei pentiti Francesco Farao e, proprio di recente, di Gaetano Aloe, figli di boss. Eppure, in primo grado e nel troncone del rito abbreviato anche in Appello, era stato dimostrato che l’economia di una vasta zona, su cui la cosca aveva influenza criminale, era monopolizzata, da 25 anni circa, dal “locale” di Cirò, i cui capi gestivano il “crimine”, nella provincia crotonese, prima dell’avvento del potente boss di Cutro Nicolino Grande Aracri. I tentacoli si allungavano sul Cosentino Jonico, in Sila, in Nord Italia e nei land tedeschi del Baden Wurttemberg e dell’Assia. Almeno secondo la Dda, che impugnerà la sentenza in Cassazione.

Mentre affonda il vascello accusatorio, incassano con ovvia soddisfazione i difensori, molti dei quali hanno sempre evidenziato i responsi favorevoli sotto il profilo cautelare, anche in Cassazione, ai loro assistiti scarcerati dopo il blitz con 170 arresti del gennaio 2018. Nella pattuglia difensiva gli avvocati Mario Bombardiere, Giovani Mauro, Mario Nigro, Pietro Pitari, Sergio Rotundo, Gianni Russano, Tiziano Saporito, Giovambattista Scordamaglia, Giuseppe Seminara, Francesco Verri, Gregorio Viscomi.

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