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Solo 2 condanne confermate, 4 assoluzioni e 8 le pene ridotte, in Appello si sgonfia l’inchiesta sulle presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta negli appalti ferroviari


ISOLA CAPO RIZZUTO – Quattro assoluzioni, otto pene rideterminate e soltanto due conferme. La Corte d’Appello di Milano ha ridimensionato la sentenza emessa un anno fa dal gup del Tribunale di Milano nel processo col rito abbreviato scaturito dall’inchiesta che avrebbe fatto luce su presunte infiltrazioni delle famiglie di ‘ndrangheta Arena e Nicoscia di Isola Capo Rizzuto nei subappalti delle costruzioni ferroviarie e su un presunto regime di monopolio che prevedeva la spartizione delle commesse da parte di colossi del settore che gestiscono i lavori di manutenzione della Rete ferroviaria italiana. Il sostituto procuratore generale Angelo Renna aveva chiesto 14 condanne.

L’aggravante mafiosa regge soltanto per i quattro fratelli Aloisio. Assolti da tutti i reati loro contestati Antonella Petrocca, in primo grado condannata a 3 anni e 4 mesi; Roberto Riillo (1 anno e 4 mesi); Francesco Ferraro (1 anno e 9 mesi); Luigi Taverna (1 anno e 4 mesi). Numerosi reati fine sono caduti “per non aver commesso il fatto”. I giudici hanno ritenuto partecipi all’associazione a delinquere e condannato a pene rideterminate a 1 anno e 8 mesi ciascuno Alfonso Aloisio (in primo grado condannato a 4 anni e 2 mesi), e Antonio Aloisio (6 anni e 6 mesi).

PRESUNTE INFILTRAZIONI DELLA ‘NDRANGHETA NEGLI APPALTI FERROVIARI: LE PENE RIDETERMINATE IN APPELLO

Pene rideterminate, con l’esclusione dell’aggravante mafiosa, a 2 anni e sei mesi per Gianluigi Petrocca (6 anni); 2 anni e 4 mesi per Angelo Mancuso (3 anni); 3 anni e 2 mesi per Domenico Riillo (5 anni e 6 mesi); 5 anni e 4 mesi per Leonardo Villirillo (6 anni e 4 mesi); 10 mesi per Nicola Pittella (1 anni e 4 mesi); 1 anno e 4 mesi per Francesco Catizzone (1 anno e 9 mesi). Pene confermate per Francesco Aloisio, già condannato a 4 anni e 8 mesi, e Maurizio Aloisio, al quale furono comminati 7 anni.

Le accuse erano, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata a reati tributari e bancarotta con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa perché, con un sistema di incassi in nero, società riconducibili ai clan, attive tra il Varesotto e Isola Capo Rizzuto, avrebbero sostenuto affiliati detenuti e le loro famiglie. «Ventura ha tutta la Calabria, Morelli ha tutta la Campania e Esposito ha tutta la Sicilia, Rossi ha tutto il Nord Italia». Questa l’intercettazione chiave nell’inchiesta condotta dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Milano e Varese. Stando alle indagini, numerose imprese intestate a prestanome e riconducibili alle cosche isolitane avrebbero ottenuto in subappalto lavori che Rfi, costituita parte civile nel procedimento, appaltava a imprese leader del settore come Generale Costruzioni Ferroviarie spa (Gcf) del Gruppo Rossi.

TRA GLI INDAGATI ANCHE MARIA ANTONIETTA VENTURA

Tra gli indagati c’era anche Maria Antonietta Ventura, presidente del cda dell’omonimo Gruppo, già candidata da centrosinistra e Cinque Stelle alla presidenza della Regione Calabria, ma ritiratasi poi dalla corsa. Si ritrova imputata a parte in un procedimento parallelo nei confronti di 40 persone tra cui altri big del settore ferroviario nazionale.
Il modus operandi, secondo l’accusa, era quello del distacco della manodopera e nolo a freddo dei mezzi, grazie alle società del gruppo di imprese delle famiglie Aloisio e Giardino, ritenute contigue ai clan e fittiziamente intestate a prestanome. Gli imputati erano difesi dagli avvocati Roberto Coscia, Pino Napoli, Mario Nigro, Vincenzo Sorgiovanni, Salvatore Staiano, Luigi Villirilli.

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