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CROTONE – Un aspetto emerge dall’indagine Malapianta (SCOPRI I CONTENUTI SULL’OPERAZIONE MALAPIANTA) che a Crotone e in diverse altre province calabresi ha portato al fermo di 35 persone (LEGGI LA NOTIZIA). Si tratta in particolare dell’atteggiamento prudenziale assunto «nelle comunicazioni fra gli accoliti»

La procura, infatti, ha messo in luce come «disaminando le risultanze intercettive riportate, emergeva, l’assunzione di condotte prudenziali, attuate dai consociati per il timore di indagini a loro carico o per le propalazioni di pentiti».

Una serie di preoccupazioni che, per coloro che sarebbero poi stati indagati e fermati, comportava «l’adozione di cautele».

LEGGI I NOMI DEI 35 FERMATI

Ma quali erano queste cautele? A rispondere all’interrogativo è la stessa procura

L’ufficio guidato da Nicola Gratteri, infatti, spiega che «sinteticamente, si registrava una generalizzata cautela e prudenza in ogni forma di interazione. I componenti dell’organizzazione criminale erano attenti e parsimoniosi nell’utilizzo di apparati telefonici, cauti nell’intrattenimento di conversazioni compromettenti o nelle relazioni. Spesso, nelle interlocuzioni, adoperavano toni sommessi, al limite della percezione uditiva, anche quando il dialogo avveniva in luoghi domestici e, quindi, parzialmente sicuri».

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A prova di questa prudenza ci sono diverse intercettazioni riguardanti ad esempio Dante Mannolo, ma anche «altri intranei all’organizzazione criminale».

A spiccare è l’atteggiamento di Mario Mannolo considerato dagli inquirenti «principale responsabile della gestione esecutiva delle attività di narcotraffico».

ECCO COME È PARTITA L’INDAGINE MALAPIANTA

Secondo l’accusa, sono presenti da parte di Mario Mannolo «chiare attività di Anti Bonifica per il rilevamento di microspie o per eludere potenziali attività intercettive». Mario Mannolo infatti, nell’ambito di una conversazione intercettata «riferiva di aver comprato presso Catanzaro un apparecchio, a suo dire affidabile al 100%, in grado di rilevare eventuali microspie installate dalle forze dell’ordine. L’acquisto effettuato da Mario Mannolo presumeva la consapevolezza di perpetrare condotte illecite bisognose di modalità precauzionali, tra cui attrezzatura tecnica per anti bonifiche».

In conclusione, dunque, «il controllo territoriale, effettuato nella zona di influenza dei Mannolo, costituiva – puntualizza la procura – un prioritario e strumentale interesse societario, perseguito dai sodali con cura e meticolosa attenzione. La medesima cautela veniva riposta nella “protezione dei sistemi di comunicazione”, tanto utilizzando, pedissequamente, toni sommessi, quanto attuando “bonifiche” con rilevatori di periferiche intercettive e ricerche manuali. Le indagini hanno comprovato l’esistenza di un flusso informativo, sollecitato dagli indagati, per attingere informazioni su vicende giudiziarie di interesse che, unitamente al monitoraggio “militare” dell’area, denotava la precisa volontà di ostacolare e sottrarsi a qualunque forma di investigazione».

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