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La caserma di Cutro mai aperta

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CUTRO (CROTONE) – L’Esercito era venuto a Cutro per dire al Comune e agli altri enti locali sottoscrittori di un accordo di programma risalente al lontano giugno 2000 che voleva sfilarsi dall’intesa. O, meglio, «svincolarsi».

Vedete voi che farne di una cattedrale del deserto costata 20 milioni di euro: questo era il mandato del generale Giancarlo Gambardella, direttore del Geniodife. Mentre una decina di Rambo in mimetica vigilano il perimetro, da oltre dieci anni, infatti, sono ultimati 96 alloggi mai utilizzati, perché il progetto per realizzare una caserma che avrebbe dovuto accogliere un reggimento di fanteria non è mai stato ultimato.

L’immobile è in preda al deterioramento per la mancata manutenzione e Cutro i tacchi non li batterà mai né si metterà sull’at-tenti. L’Esercito voleva dotare l’accordo – il cui principale artefice fu l’ex sindaco Salvatore Migale – di un «nuovo vestito», perché quello stipulato 21 anni fa nasceva su un presupposto venuto meno, essendo ormai il modello di reclutamento cambiato: avviene su base volontaria, e non c’è più l’obbligo di leva. «Ben consapevole dei soldi spesi dal Comune», si diceva il generale, ed è messo pure a verbale, ma «è ormai cessato l’interesse dell’Esercito in considerazione del fatto che non realizzerà più una caserma».

Ecco perché il generale chiedeva ai partecipanti all’incontro – il commissario straordinario del Comune, Domenico Mannico, il presidente facente funzioni della Provincia, Simone Saporito, mentre era assente la Regione Calabria – di modificare l’accordo, nel senso di considerarlo chiuso.

Ma ha battuto i pugni sul tavolo il commissario Mannino, evidenziando che il Comune ha speso oltre 4 milioni per oneri di urbanizzazione e minacciando azioni risarcitorie, ma, soprattutto, chiedendo un impegno a realizzare opere equivalenti in termini di benefici per la comunità. Da quella cittadella militare si sarebbe dipanata una prospettiva di sviluppo, perché a Cutro si sarebbero trasferiti centinaia di ufficiali con le loro famiglie.

«L’accordo di programma rappresenta un impegno per tutti», è detto sempre nel verbale, ma questo è il virgolettato attribuito a Mannino, che ha pertanto chiesto una verifica di quali opportunità possano aprirsi per il territorio. Il collegio di vigilanza, ha insistito il prefetto in quiescenza, non ha il potere di chiudere l’accordo né è «sufficiente» il «semplice recesso» da parte della Difesa.

Morale della favola, alla fine il generale ha sostenuto che la Difesa non è più competente a individuare le modalità di utilizzazione degli immobili e così nel collegio di vigilanza è stato inserito il Demanio. Nelle more dell’individuazione di un «obiettivo equivalente», il generale ha peraltro condiviso l’ipotesi di utilizzare la caserma come alloggio per i contingenti attualmente ospitati in alberghi del territorio convenzionati. Una eventualità che peraltro farebbe risparmiare un po’ di soldini allo Stato.

Quello che non è stato messo a verbale è che il prefetto Mannino ha proposto di valutare la fattibiltà del trasferimento a Cutro della Scuola per allievi agenti della polizia Stato di Vibo Valentia, per la cui sede il ministero dell’Interno paga un fitto oneroso. Oggi che il modello di difesa è totalmente professionale sono, dunque, venute meno le motivazioni a base dell’originario progetto. Non c’è è più bisogno di una caserma come quella che si voleva fare a Cutro. Il programma si è fermato alla progettazione del secondo lotto, quello relativo alla caserma vera e propria, mentre l’avveniristica terza tranche di interventi, stando al protocollo d’intesa, con cui venivano messi a disposizione 140 miliardi di ex lire, si riferiva all’area addestrativa con annesso centro sportivo che mai vedranno la luce.

L’ex sindaco Migale, che coltivò a lungo l’idea della cittadella militare anche per la ricaduta in termini economici e fu il principale artefice dell’iter iniziato con un accordo quadro sottoscritto nel lontano 1998 insieme all’allora ministro della Difesa Beniamino Andreatta, manifestò un forte dissenso rispetto alle motivazioni che indussero uno dei suoi successori al Dicastero, Ignazio La Russa, a non mantenere gli impegni assunti, all’indomani della pubblicazione del pre-bando per l’appalto del secondo lotto che riguardava specificamente la costruzione della caserma, dopo che l’amministrazione comunale aveva espropriato un’area di 80 ettari e aveva investito quattro milioni in una variante al Prg.

Nel corso della consiliatura terminata lo scorso luglio con lo scioglimento per le dimissioni del sindaco Salvatore Di Vuono, l’amministrazione comunale è stata impegnata in una serie di incontri sempre alla Difesa, insieme a rappresentanti dell’Unical e dell’università Federico II di Napoli, per la valutazione di un progetto di riconversione, ma, che se ne sappia, non sono stati mai presentati studi di fattibilità sui laboratori di ricerca e la smart city di cui si è favoleggiato. Gli ex amministratori peraltro proponevano di utilizzare una delle palazzine come caserma dei carabinieri della Stazione locale, attualmente alloggiati in un immobile privato in via Perugia, ciò che avrebbe fatto risparmiare un oneroso canone di locazione all’Arma.

Oggi al posto della giunta comunale c’è una commissione straordinaria insediatasi in seguito allo scioglimento dell’ente per infiltrazioni mafiose. La guida il prefetto Mannino che al tavolo ha battuto con particolare vigore su un taso: «non ci si può accontentare di mettere in affitto le palazzine». E «occorre una visione più ampia della destinazione del compendio immobiliare»; puntare a «un obiettivo equipollente». Tipo la Scuola di polizia.

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