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Le testimonianza dei pescatori che parteciparono ai soccorsi nella notte della strage di migranti di Cutro, c’è chi non riesce più ad andare a pesca: «Fuori dall’acqua tirai forse 50 corpi, rivedo i corpi dei bimbi sulla spiaggia»


CUTRO – Antonio Grazioso ha rivisto la strage, una settimana fa. I ricordi si affollavano mentre, insieme al fratello Teodoro, conduceva le forze dell’ordine sul luogo in cui avevano rinvenuto l’ultimo pezzo del disastro, il gommone forse utilizzato dagli scafisti per la fuga dopo il tragico naufragio del 26 febbraio dello scorso anno, in cui morirono 94 migranti. Il pescatore è stato il primo cittadino di Steccato di Cutro ad arrivare sul posto, in quella gelida alba.

Mentre, sette giorni fa, con le corde attaccate al jeeppone, lui e il fratello estraevano quel tessuto nero lungo sei metri sotto la supervisione degli ufficiali della guardia di finanza e della guardia costiera, non pensava ad altro. Tornava con la mente a un anno prima. Il nastro si riavvolge a partire dal lembo del gonfiabile spuntato tra le dune alla foce del fiume Tacina. «Ricordo che a bordo del gommone non c’era nessuno. Combaciano il colore e la lunghezza con quello che abbiamo trovato. Era tra il mare e il fiume». La sua attenzione, però, un anno fa, non era certo riservata al gommone.

ALLE 5.40 SQUILLA IL TELEFONO, SERVE AIUTO

«Mi ero svegliato alle 4 perché mia figlia non voleva dormire. Voleva affacciarsi, guardare fuori. Le ho fatto vedere che fuori era buio. Si sentiva il mare in tempesta, le ho detto che sarebbe stato meglio andare a dormire e mi sono rimesso a letto». Alle 5.40 squilla il telefono. «Un mio amico della Capitaneria di porto di Crotone diceva che i suoi colleghi erano in difficoltà, avevano trovato già quattro o cinque cadaveri. Il tempo di prendere gli stivali e sono sul fiume Tacina, che è a 300 metri da casa mia. C’erano alcuni sopravvissuti che cercavano i parenti. Alcuni avevano trovato i loro familiari morti sulla spiaggia».

Si era già consumata la tragedia. «Il mare era fortissimo. La barca era già stata trascinata a riva, distrutta, era rimasto soltanto lo scafo e tra le onde si intravedevano cadaveri. Mi sono messo a recuperare corpi, io avevo gli stivali, un uomo in divisa che era accanto a me aveva scarpe normali ma è entrato in mare ugualmente. Sulla riva c’era il corpo di una donna nuda». Quei corpi spogliati di tutto, anche della dignità, rispuntano nella mente di tanti soccorritori. «Io e un militare della guardia costiera abbiamo recuperato insieme 47 cadaveri, tanti ne abbiamo contati, oltre quei sei o sette tolti restituiti dal mare a prima mattina».

Poi arriva il fratello Teodoro a dargli man forte. «Mando una foto nella chat della nostra famiglia, sono venuti subito là, hanno capito che c’era una situazione particolare. Hanno aiutato a mettere cadaveri nei sacchi neri. Con mio fratello insieme alla guardia costiera siamo andati fino a Botricello col fuoristrada per recuperare un altro corpo. Quando lo abbiamo preso, abbiamo visto un altro cadavere trascinato in direzione di Steccato. Siamo andati a recuperare anche quello».

LA TRAGEDIA IMMANE SCOPERTA DAI SOCCORSI

Corpi estratti in vita non ne ricorda, Antonio Grazioso, se non quelli recuperati dalla motovedetta della guardia costiera. «Hanno preso uno zio e un nipote che teneva tra le braccia il fratellino morto. Li hanno subito portati a Crotone perché erano infreddoliti, purtroppo per il piccolo non c’è stato nulla da fare».
Il pescatore ricorda che «le forze dell’ordine erano state sempre presenti in occasione di sbarchi. Chissà perché quella mattina non è scattata la macchina dei soccorsi. Fossero stati affiancati da una motovedetta come quella della guardia costiera i migranti si sarebbero salvati. Oppure si sarebbero salvati se fosse successo la mattina prima che era bel tempo. Quella è una motovedetta di 20 metri che non ha paura eppure con quel mare brutto si vedeva e non si vedeva».

Il pescatore ricorda la grande risposta di solidarietà della gente di Steccato. «Io sono stato soltanto il primo steccatese ad arrivare, ma tutta la comunità ha risposto, e non per un solo giorno. Il mio paese ha risposto benissimo per i quattro mesi in cui è stato fatto monitoraggio della spiaggia. Quella mattina, poi, la gente è arrivata con le coperte e con un furgone pieno di cibo». Ecco perché c’è delusione a Steccato, esclusa dagli eventi commemorativi. «Siamo amareggiati. Non comprendiamo la scelta di Comune, Provincia, Regione. Non accettiamo questo schiaffo morale dato a tutta una comunità. Sono stato invitato personalmente dal sindaco Antonio Ceraso ma non andrò alla scopertura della vetrina in piazza a Cutro. Andrò a portare un fiore alle 4 di mattina per i migranti che sono morti».

LA STRAGE DI CUTRO UN ANNO DOPO: «NON RIESCO A TOGLIERMI DALLA MENTE LE IMMAGINI DEI CORPI DEI BIMBI SPOGLIATI DAL MARE»

La pensa così anche Vincenzo Luciano, che non ce la fa più ad uscire in mare. «Mi chiamano il pescatore di morti. Mi piaceva tanto andare a pesca, ma ho smesso, non ci riesco più. Sono stato sulla spiaggia anche nei giorni successivi, ma abbiamo recuperato solo morti, era troppo tardi ormai per prenderli vivi. Io ne avrò tirato fuori una cinquantina dall’acqua. Giravo coi sacchi neri in auto in quei giorni». La rabbia per l’esclusione di Steccato è la stessa. «Luciano Vincenzo – dice – a commemorazione con rinfreschi non va. Andrò all’alba sulla spiaggia a portare una corona di fiori a una mamma che ha perso due figli. L’ho abbracciata l’altra sera».

Scene indimenticabili anche per Teodoro Grazioso, a dimostrazione che è stato un trauma collettivo. «Non riesco a togliermi dalla mente le immagini dei corpi di due bimbi spogliati dal mare, uno accanto all’altro» nella notte della strage di Cutro. Non c’è stato soltanto l’aiuto dato dai pescatori alle forze dell’ordine. «Noi siamo soltanto stati tra i primi ad arrivare. Ma è tutta la popolazione di Steccato che si è data da fare, dal market che ha donato cibo a chi ha sostenuto la protezione civile in tutti i modi. Ecco perché io, mio fratello e Luciano non andremo a Cutro, in segno di protesta contro le istituzioni che non ci hanno voluto onorare di una commemorazione nel luogo del naufragio».

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