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Matteo Piantedosi

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Strage di Cutro, dopo l’esclusione di Consap dalla responsabilità civile nel processo emerge come finora lo Stato ha fatto «di tutto» solo per non pagare

CROTONE – E ora cosa succede? Sembra difficile immaginare un seguito concreto alle promesse del ministro Piantedosi. Proprio da Crotone, il 17 novembre scorso, il titolare del Viminale ha dichiarato a questo giornale, prima di mettere piede nell’auditorium dell’istituto Pertini per la giornata conclusiva del Pon Legalità 2014-20, che lo Stato avrebbe fatto «di tutto» per indennizzare le vittime del tragico naufragio di Cutro. Dichiarazione ripresa dai media nazionali, ma finora lo Stato ha fatto di tutto soltanto per non pagare.

L’annuncio giungeva all’indomani delle polemiche innescate dal «gesto impietoso» denunciato dagli avvocati dei familiari delle vittime e dei superstiti costituitisi parte civile, che avevano citato Consap. I legali della concessionaria pubblica dei servizi assicurativi in aula hanno detto chiaramente che la loro assistita non vuole pagare, e alla fine la richiesta di estromissione da responsabilità civili è stata accolta.

STRAGE DI CUTRO, LO STATO FA DI TUTTO PER NON PAGARE

Per scongiurare un precedente che sarebbe risultato estremamente dispendioso per le sue casse, lo Stato si è affidato ai più grandi avvocati penalisti italiani. Prima Giulia Bongiorno, che ha rinunciato al mandato travolta da critiche su presunti conflitti di interesse perché è la presidente della Commissione Giustizia del Senato e perché Consap è partecipata interamente dal Mef diretto dal ministro Giorgetti, leghista come lei. Poi, lo Stato ha chiamato il suo maestro, il professore avvocato Franco Coppi, la cui eccezione si è rivelata dirimente per la mancata partecipazione di Consap all’incidente probatorio e il potenziale vulnus del diritto di difesa.

Lo Stato sfugge, dunque, a responsabilità civili ma si costituisce parte civile contro gli scafisti che, si sa, non hanno grandi risorse, essendo la manovalanza di organizzazioni transnazionali che lucrano sulla disperazione con la complicità, spesso, delle istituzioni dei Paesi da cui partono ogni giorno i barconi.

Le condanne esemplari con cui si concludono i processi per gli sbarchi di migranti prevedono, oltre a pene elevate, anche multe milionarie che sono più che altro simboliche. Perché gli scafisti non hanno mai risarcito i danni. Figuriamoci quelli ultramilionari per ciascun migrante morto che potrebbero essere liquidati dai giudici.

RESTA APERTA LA PARTITA IN SEDE CIVILE

Certo, resta aperta la partita in sede civile, perché l’ordinanza pronunciata dal presidente Edoardo D’Ambrosio lascia spiragli per chiedere il risarcimento del danno a Consap. Ma i tempi processuali sono lunghi e in genere gli avvocati preferiscono, prima di adire il giudice civile, aspettare che le sentenze penali diventino definitive.

Nella memoria depositata nei giorni scorsi dagli avvocati Enrico Calabrese, Stefano Bertone e Marco Bona, che tra familiari di vittime e superstiti assistono 60 persone, nessuna delle quali ha potuto costituirsi parte civile perché tutte residenti all’estero ed è impossibile reperire le procure speciali per il loro status, si ricorda che è elevatissimo il numero di quanti sono legittimati ad accedere alla protezione risarcitoria. Si ricorda anche che l’intervento del Fondo è purtroppo limitato a 6 milioni e 450mila euro per sinistro a prescindere dal numero dei danneggiati.

Alla fine, insomma, cosa volesse dire il ministro Piantedosi molti non lo hanno capito. E molti si chiedono se, dopo essersi costituiti parte civile contro i presunti scafisti, Presidenza del Consiglio, ministero dell’Interno e Regione Calabria si costituiranno anche nel parallelo procedimento penale, che viaggia verso la conclusione delle indagini e verte su presunte responsabilità istituzionali per i mancati soccorsi. Ovvero quel buco di quasi sei ore durante le quali, a fronte della segnalazione della presenza di un barcone a 40 miglia dalle coste crotonesi che con ogni probabilità trasportava migranti, dopo il rientro di due mezzi della Guardia di finanza, la V5006 da Crotone e il pattugliatore Barbarese da Taranto, a causa delle cattive condizioni meteorologiche, le potenti e inaffondabili motovedette classe 300 e 800 della Guardia costiera restavano in porto senza che la sala operativa di Reggio Calabria ne disponesse l’uscita.

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