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Sullo scempio ambientale di Capocolonna CdS ordina di abbattere le opere illegittime ma intanto i titolari chiedono 7 mln di risarcimento, si rischia una nuova Punta Perotti


CROTONE – E adesso chi paga? La risposta potrebbe essere: Pantalone. Pagano i cittadini. La Corte d’Appello di Catanzaro che, nei giorni scorsi, ha dichiarato prescritti i reati per i quali, nel luglio 2021, il Tribunale penale di Crotone aveva disposto cinque condanne nel processo sul contestatissimo Marine Park Village, sequestrato tre volte dalla Procura nell’incantevole località Scifo, in piena Area marina protetta “Capo Rizzuto” e a due passi da Capocolonna, luogo che ospita la colonna magnogreca simbolo della città di Pitagora nel mondo, ha cancellato anche le statuizioni accessorie relative alla “messa in pristino”.

In primo grado, i giudici avevano ordinato, contestualmente alle condanne, che le spese per il ripristino dello stato dei luoghi fossero a carico degli imprenditori e del progettista. L’ordinanza del Comune, che nell’agosto 2019 disponeva la demolizione dei manufatti realizzati senza titolo in un’area sottoposta a vincoli paesaggistici, ambientali ed archeologici, è ormai definitiva, come ha stabilito il Consiglio di Stato nel gennaio 2023. La lottizzazione abusiva si è consumata, anche se è intervenuta la prescrizione. E i titolari dello “scempio” non dovranno neanche pagare. Ma non finisce qui: sta per iniziare una causa civile nel corso della quale si rischia un nuovo caso Punta Perotti, con una richiesta di maxi risarcimento da parte degli imprenditori Salvatore e Armando Scalise. Chiedono sette milioni, che dovrebbe pagare sempre Pantalone.

LO SCEMPIO AMBIENTALE DI CAPOCOLONNA, RIEPILOGHIAMO I FATTI

La vicenda è complessa. I protagonisti sono molti. Proviamo a riepilogare i fatti. La Corte presieduta da Alessandro Bravin non ha potuto far altro che rilevare la prescrizione, così come aveva fatto il sostituto procuratore generale Roberto Amorosi. In primo grado, condanne a due anni e sei mesi di reclusione ciascuno erano state disposte per Elisabetta Dominijanni, dirigente del settore Urbanistica del Comune, e per Gaetano Stabile, responsabile del procedimento; un anno e sei mesi di arresto per gli imprenditori Armando Scalise e Salvatore Scalise e per il progettista Gioacchino Buonaccorsi.

In primo grado fu assolto Mario Pagano, ex soprintendente archeologico e paesaggistico per le province di Catanzaro, Crotone e Cosenza, accusato di falso, che nel processo d’appello era pertanto uscito di scena. «Appare radicalmente e manifestamente illegittima la realizzazione in una zona agrituristica – e perciò agricola – di un nuovo insediamento edilizio che non presenti alcun nesso oggettivo e manifesto di collegamento agricolo con le esigenze del medesimo fondo», era detto nelle motivazioni della sentenza di primo grado che recepiva le richieste del pm Alessandro Rho. Il pm in aula parlò di «maldestro imbroglio». La sentenza d’appello conferma la condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili Comune e Legambiente e la confisca dei terreni e delle opere, ma azzerato il ripristino dello stato dei luoghi a carico degli Scalise e di Buonaccorsi.

L’IPOTESI DI ABUSO D’UFFICIO PRESCRITTA IN PRIMO GRADO

Si era già prescritta in primo grado l’ipotesi di abuso d’ufficio di cui Dominijanni e Stabile rispondevano per il rilascio del permesso di costruire del Comune nel dicembre 2011 in violazione di varie norme, ma non quella connessa alla proroga a fronte di un’istruttoria assente. Perché gli Scalise non erano imprenditori agricoli (si occupano di turismo e commercio di articoli sportivi) e avrebbero falsamente attestato la disponibilità dei terreni. Nonostante la destinazione agrituristica, avrebbero realizzato un intervento edilizio che «non presentava alcun nesso con l’eventuale conduzione agricola del fondo» e nel progetto nulla si diceva sulla realizzazione di 79 bungalow. Intanto, l’abuso d’ufficio potrebbe pure essere abrogato, dopo il via libera del senato al ddl Nordio. Estinta anche l’accusa di alterazione delle bellezze naturali di un’area sottoposta a duplice vincolo tutorio sotto il profilo ambientale e in zona d’interesse archeologico.

Agli Scalise e a Buonaccorsi era contestato anche lo scavo a servizio della piscina e del bungalow da adibire a ristorante in difformità rispetto al nullaosta archeologico dell’aprile 2009. Il solo Salvatore Scalise era accusato anche di aver indotto in errore il pubblico ufficiale che gli ha rilasciato il famigerato certificato di imprenditore agricolo, ma anche quest’accusa è ormai prescritta.
Via spianata, dunque, per i difensori degli imputati, gli avvocati Mario Nigro, Domenico Grande Aracri, Francesco Scalzi, Giovanni Allevato, Mario Lucente, che hanno ottenuto il “non luogo a procedere”.

LE DECISIONI DEL TAR E DEL CONSIGLIO DI STATO

Gli avvocati Grande Aracri, Scalzi e Achille Morcavallo, che rappresentavano gli Scalise e Buonaccorsi, non l’hanno però spuntata sul versante amministrativo. Sia il Tar della Calabria che il CdS hanno stabilito che le 79 piastre in cemento per la posa dei bungalow, il deposito di materiali, la piscina in cemento armato e il manufatto destinato a ristorante-pizzeria con pilastri in legno vanno abbattuti. C’è da eliminare una bruttura che deturpa un promontorio immerso in luoghi di suggestiva bellezza, davanti a un mare che è un incanto e a ridosso dei reperti dell’antica Kroton.

Ma sta per iniziare anche un processo civile e la vicenda rischia di trasformarsi in un boomerang per il Comune: è già pronta la richiesta, da parte dei fratelli Armando e Salvatore Scalise, di un maxi risarcimento dei danni – per sette milioni di euro – che l’ente avrebbe determinato col rilascio dei permessi di costruire la lottizzazione abusiva. Scorrendo le motivazioni della sentenza di primo grado (sostanzialmente confermata in Appello), il pool di avvocati che assiste gli imprenditori crotonesi ha individuato elementi di fatto e diritto che, a loro avviso, evidenziano la responsabilità dei tecnici comunali nel rilascio dei titoli edilizi in assenza di accordi corruttivi e/o concussivi.

LO SCEMPIO AMBIENTALE DI CAPOCOLONNA E LE RICHIESTE DELLE PARTI

Secondo i loro legali, Armando e Salvatore Scalise, per effetto di una disciplina urbanistica, Paesaggistica ed edilizia di difficile interpretazione, avevano riposto legittimo affidamento sugli atti autorizzativi rilasciati dall’ente comunale. Gli imputati hanno, quindi, subito danni patrimoniali (dalle demolizioni alla perdita di chance imprenditoriali) per effetto dell’annullamento in autotutela di titoli edilizi ritenuti illegittimi dal giudice penale.

Ecco perché i fratelli Scalise hanno proposto al giudice civile una richiesta risarcitoria milionaria nei confronti del Comune, con l’assistenza anche degli avvocati baresi Giuseppe Cavone, Marco Vitone e Francesco Caldarola, questi ultimi due componenti dello studio che, qualche anno addietro, si occupò del caso “Punta Perotti”, ottenendo la condanna dello Stato italiano ad un maxi risarcimento nei confronti delle imprese, in una vicenda dai contorni analoghi, almeno secondo la tesi dei legali. I fratelli Scalise hanno pertanto commissionato una perizia che, qualora venisse ritenuta fondata, potrebbe contribuire all’accertamento di un esoso danno erariale.
I frequentatori di una caletta incontaminata si erano ormai assuefatti all’orrido che convive con l’incanto di Scifo. L’incanto oggi convive anche con l’assurdo.

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