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Un momento della celebrazione

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Folla di fedeli a Steccato di Cutro per la via crucis diocesana con la croce con le assi del caciucco nel ricordo della strage di migranti e di tante speranze infrante


CUTRO – «IL significato di questa via crucis potremmo riassumerlo nel non dimenticare. Io penso che quello che noi possiamo fare, che siamo chiamati a fare, è proprio non dimenticare: ricordare e anche farci un esame di coscienza. Siamo qui e la Via crucis ci porta anche a questo: a interrogare le nostre coscienze e domandarci: io, cosa posso fare?».
Così ha parlato don Pasquale Squillacioti, parroco di Steccato di Cutro, durante la via crucis diocesana, promossa ieri pomeriggio, 18 febbraio, 2024, per il primo anniversario della tragedia dei migranti (94 vittime e una dozzina di dispersi), avvenuta il 26 febbraio scorso, sulla spiaggia poco distante.

Una processione con in testa una croce di legno. Croce creata con le assi del caicco a bordo del quale i migranti quella notte della strage cercarono invano di sbarcare a Cutro. Questa croce, dopo un lungo peregrinare, da ieri sarà ospitata stabilmente nella chiesa di Steccato.
Il corteo è partito dal piazzale Africa che l’amministrazione comunale di Cutro, ha inteso dedicare proprio alla memoria dei migranti morti. Sul messaggio che la diocesi ha voluto lanciare con la via Crucis, il parroco ha detto: «è per noi cristiani il messaggio della speranza. È quello di non arrenderci, di fare memoria».
L’arcivescovo di Crotone e Santa Severina, Angelo Raffaele Panzetta ha voluto che questa Via Crucis fosse diocesana proprio per dare un segnale: «È un bel segno – ha concluso – un segno di unità; essere tutti qui, insieme, per pregare nel primo anniversario di questi nostri fratelli che hanno perso la vita così tragicamente».

E in effetti l’appello è stato accolto. Tante le persone, presenti nel sacro cammino guidato dall’arcivescovo di Crotone e Santa Severina e dal sindaco di Cutro, Antonio Ceraso.
Per l’arcivescovo «abbiamo molti motivi per essere qui. Innanzitutto per non dimenticare, per pregare e per assumerci le nostre responsabilità, per chiederci, davanti alla Parola di Dio, che cosa abbiamo fatto in questo anno per fare in modo che questa tragedia non passi senza lasciare una traccia positiva nel tessuto della nostra vita».

All’avvio, don Lino Leto, parroco di San Paolo a Crotone ha sottolineato, , che «le parole risultano insufficienti e povere per descrivere l’orrore, la paura, la disperazione, che abbiamo potuto leggere negli occhi dei sopravvissuti al dramma accaduto a Steccato di Cutro».
E poi: «Ci siamo sentiti responsabili delle parole, che provavamo a dire ai superstiti in quei giorni e tante volte ci sono sembrate inconcludenti, eppure, strappavano un debole sorriso a quelle persone inermi, addirittura grate a noi per essere lì con loro. Intere famiglie sono morte in questo orrore: famiglie letteralmente spezzate. Molti naufraghi, partiti con i loro familiari, sono rimasti soli. Le vittime erano tutte accomunate dal desiderio di una vita migliore».

«Si parte – ha detto ancora don Leto – nutrendo una speranza, sempre! Tutti meritiamo una speranza di vita buona! Quella notte, la loro speranza si è infranta dinanzi alla malvagità degli scafisti, che si sono gettati in mare dopo aver accelerato il barcone, che si è schiantato sulla secca. Nemmeno il pianto degli innocenti, dei piccoli li ha commossi: quei pianti ora non suonano all’orecchio di nessuno, perché non sono più!».
E poi il lungo corteo, per le varie stazioni della via crucis, intramezzate dalle testimonianze dei migranti. Fino all’approdo in spiaggia, la spiaggia che è stato il luogo della tragedia. Tragedia che non deve essere dimenticata.

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