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Francesco Cosentini, direttore di Coldiretti

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IL PIL agricolo contribuisce al Pil generale della regione, in Calabria, per più del doppio rispetto alla media nazionale. Il settore conta 28mila datori di lavoro (10mila dei quali autonomi), impiega quasi 94mila addetti e a bilancio ‘porta’ circa 9 milioni di giornate lavorative. «Sono numeri importanti – commenta Francesco Cosentini, direttore di Coldiretti Calabria – tanto più se rapportati alle dimensioni del territorio e alla sua orografia». Numeri che potrebbero crescere di più. «I margini ci sono. Ampliando ad esempio le reti irrigue per raggiungere superfici non coperte, riorganizzando il comparto, ma soprattutto superando le difficoltà di tipo logistico che incontriamo nel raggiungere i mercati».

Cosa servirebbe al comparto?

«Tenga conto che le nostre merci viaggiano sull’A2. Basta già questo per capire i disagi. Pensi che ci sono degli autotrasportatori che bypassano la Salerno-Reggio: preferiscono imbarcarsi in Campania e sbarcare a Palermo, saltando la Calabria. A noi serve un’alternativa, che può essere rappresentata dalle cosiddette autostrade del mare, puntando sui porti di Gioia Tauro e Corigliano. Non disponiamo poi di centrali in cui portare i prodotti per il condizionamento, in attesa di arrivare sui mercati, e piattaforme per organizzare i carichi, comporre le pedane. Mancano insomma i servizi di logistica. E questo non solo da noi, va detto: sono carenti da Roma in giù, si trova giusto qualcosa in Campania e Puglia. Questo gap frena la crescita del settore in Calabria rispetto ai competitor di regioni come Emilia e Lombardia: loro sono già vicine ai grandi mercati, noi dobbiamo arrivarci».

E costa parecchio.

«Le spese che i nostri produttori devono sostenere per trasporti e logistica pesano sui costi il 40, 50 per cento in più rispetto ai competitor di altre regioni. E questo vale per l’approvvigionamento di fertilizzanti, mangimi, concimi. I produttori e allevatori calabresi spendono di più anche per rifornirsi. In queste condizioni il margine di guadagno finale è contenuto, se non in discussione. E sarà sempre così, se non si riduce questo svantaggio iniziale. Si è fatto tanto e si sta facendo tanto per l’agricoltura calabrese, ma non è sufficiente. È il momento di fare un ragionamento strategico e di compiere scelte coraggiose con investimenti destinati a logistica e trasporti. Oggi verso la Calabria c’è grande interesse da parte dei potenziali consumatori: siamo protagonisti sui media internazionali e gli studi scientifici confermano i benefici delle nostre produzioni. Dobbiamo essere messi nelle condizioni di raggiungerli, però, questi consumatori. La stagione è propizia, ci sono fondi europei, a partire dal Pnrr, e strumenti come la Zes».

Facciamo un passo indietro, alla produzione. Le condizioni meteo di queste settimane impatteranno sulla stagione in corso?

«In linea di massima il nostro bilancio è positivo. Non possiamo ancora prevedere eventuali danni sui fruttiferi, perché siamo in fioritura, ma al momento al di là di alcuni allagamenti sullo jonio non si registrano per fortuna criticità. Per quanto riguarda la fornitura idrica non si segnalano problemi. Insieme alla Basilicata, la Calabria è la regione che in questo momento può contare su una buona dotazione. I bacini di accumulo sono in buono stato di invaso e le piogge degli ultimi giorni hanno restituito ai terreni una ‘scorta’ sufficiente: del resto è caduta  un decimo dell’acqua che cade in un anno in Calabria. Al momento possiamo affrontare con serenità quest’ultimo scorcio di primavera».

Per quanto riguarda la manodopera si conferma l’emergenza?

«Purtroppo sì. Continuiamo a registrare un fuga degli italiani dai lavori in agricoltura. Non si trovano braccianti, non si trova manodopera specializzata: potatori, ruspisti, trattoristi. Il decreto flussi è una risposta, ma non basta. Innanzitutto per i numeri: le quote assegnate alla Calabria non soddisfano neanche la metà del fabbisogno. E poi c’è il problema dei tempi, troppo lunghi. Spesso i lavoratori stranieri che accedono all’Italia con il decreto flussi arrivano quando la raccolta è finita. Con gli agrumi a volte sono arrivati un anno dopo, per la campagna successiva».

Gli italiani magari fuggono dal lavoro agricolo perché sottopagato?

«Guardi, io non prendo in considerazione chi specula o fa ricorso al caporalato. Per me quelli sono delinquenti. Gli imprenditori agricoli onesti, virtuosi, pagano da contratto e anche di più, per intercettare lavoratori».

Quali sono le tariffe da contratto?

«Per i braccianti, la tariffa minima è di 40 euro lordi a giornata, quindi per 6 ore e mezza di lavoro. I lavoratori specializzati guadagnano molto di più. Possono arrivare a 2mila, 2500 euro al mese, in base all’esperienza. Se sono giovani, 1.800 euro in media. Ma non se ne trovano. Ormai sono lavori che fanno i pensionati».

Pesa l’incertezza…

«Guardi, io credo ci sia anche un po’ di pregiudizio verso alcuni lavori. Ma certo l’incertezza – il lavoro giornaliero è soggetto anche alle condizioni meteo – e la stagionalità pesano. E si preferisce chiedere il reddito di cittadinanza. Una misura di sostegno per chi vive in condizioni di disagio è ovvio sia necessaria, ma non deve diventare un’alternativa al lavoro».

Quali sono le soluzioni, secondo Coldiretti?

«La revisione di queste misure, tanto per dirne una. E poi favorire l’arrivo di manodopera extra Unione europea. Già oggi rappresenta il 30, 35 per cento dei lavoratori del settore e, come detto, non basta. Ci sono poi produttori che stanno riorganizzando i propri cicli di coltivazione in modo da garantire un impegno continuo e assumere una squadra fissa di lavoratori, con contratti quindi stabili e i benefit connessi. Ripeto, l’emergenza c’è ed è seria. Ci siamo trovati nel recente passato con produzioni rimaste sulle piante e superfici abbandonate».

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