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Un tratto di spiaggia libera accanto a un tratto di spiaggia in concessione a un lido

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CATANZARO – Spiagge libere, queste sconosciute. È sempre più difficile, secondo Legambiente, trovare in Italia uno spazio in riva al mare dove non sussistano stabilimenti balneari. In Calabria, ad esempio, su 614 chilometri di costa, il 29,4% è occupato da lidi (1.677), campeggi, circoli sportivi e complessi turistici (123): il totale delle concessioni legate al demanio marittimo è pari a 4.665.

Una fotografia che l’associazione ambientalista fa emergenze nel suo Report 2022, diffuso ieri, a pochi giorni dall’approvazione del Dl concorrenza che pone fine alla proroga infinita di concessioni balneari e che, così come deciso dal Consiglio di Stato, fissa l’obbligo di messa a gara dal primo gennaio 2024.

In Calabria, inoltre, emerge anche un’ulteriore criticità: diverse aree, pari al 7,8% di costa, sono vietate alla balneazione a causa dell’inquinamento e anche per motivi non espliciti («Incredibile – si legge nel dossier – la quantità di aree costiere interdette alla balneazione, in special modo in Sicilia, Calabria e Campania, che in totale contano circa 65 km su 72 km interdetti a livello nazionale»).

Tuttavia, a Praia a Mare, nel Cosentino, rileva Legambiente, si verifica un fenomeno particolare: 1,73 km di costa non sono balneabili a causa dell’inquinamento delle acque, ma nonostante ciò sono numerosi gli stabilimenti balneari che vi insistono. In particolare, poi, scendendo nel dettaglio, il comune costiero calabrese con la maggiore occupazione di spiagge in concessione è, sempre secondo il Report, quello di San Nicola Arcella, in provincia di Cosenza (73%). In molti Comuni, in secondo luogo, le uniche aree non in concessione sono quelle vicino allo scarico di fiumi, fossi o fognature e quindi dove ci si può sdraiare a prendere il sole, ma viene difficile fare il bagno (il rapporto fa l’esempio della foce del fiume Sile, per Marina di Gioiosa Ionica nel Reggino). In definitiva, le spiagge da garantire alla libera fruizione secondo le norme regionali sarebbero per la Calabria equivalenti al 30%, numero comunque molto basso.

Altro fenomeno da considerare: la crisi climatica; oltre il 60% delle coste calabrese soffre infatti di erosione: gran parte delle problematiche derivano dalla presenza di infrastrutture portuali e dal relativo insabbiamento, con conseguenti fenomeni appunto erosivi nelle aree adiacenti. È quanto avviene nelle zone di Gioia Tauro (Rc), Reggio Calabria, Villa San Giovanni (Rc), Vibo Valentia, Corigliano Calabro (Cs) e Crotone. Le zone più colpite dall’erosione costiera nell’area metropolitana di Reggio Calabria sono quelle di Pellaro e Bocale. In particolare la riduzione degli apporti dei sedimenti da parte delle fiumare (che rappresentano la fonte prioritaria di ripascimento dei litorali) ha contribuito a questo fenomeno, unitamente alla realizzazione di manufatti ed opere, quali il porto di Saline Joniche (nel comune di Montebello Jonico), mai entrato in funzione e danneggiato dalle mareggiate, e responsabile dell’erosione che colpisce il tratto di litorale compreso tra Saline e Melito di Porto Salvo.

Questa condizione si ripete anche nei casi in cui sono presenti porti di minore grandezza. Ad esempio la spiaggia di Sant’Andrea Apostolo sullo Jonio (Cz), a causa del vicino porto di Badolato che accumula sabbia, si è ridotta in 5 anni di 150 metri. Altra situazione nota è quella del litorale attorno la foce dello Stombi, un porto-canale che rappresenta la via di accesso al complesso turistico-ricreativo del “Laghi di Sibari”.

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