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Nicola Irto

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Il giovane Nicola Irto, candidato del centrosinistra calabrese, era da giorni a Roma per chiedere chiarimenti, come riferisce in un’intervista a Massimo Clausi al Quotidiano versione cartacea.

Irto non ha avuto nessuna rassicurazione. Al Nazareno avrebbero avuto in mano un sondaggio molto negativo sulla sua candidatura e hanno preferito la politica dei due forni: Irto candidato senza avere nessun appoggio significativo e linea alla napoletana con Provenzano a far l’azzardo improbabile con De Magistris. Quasi testa o croce. Più cabala che politica.

E allora il buon Irto ha cercato l’Espresso ed ha annunciato il passo indietro.

Un’intervista che mi ha ricordato quella celebre di Italo Falcomatà fatta a Paolo Pollichieni  e che fece venire la tremarella al partito nazionale che mai ha saputo risolvere o affrontare la questione Calabria.

Ad Irto il merito di aver detto: “Il re è nudo”. Un candidato governatore che si “sgola” con Roma senza trovare ascolto, né al governo né al partito mentre la derelitta sanità calabrese da commissariata diventa supercommissariata. Nessuna certezza sulle infrastrutture.

E ancora, quel “prescindiamo dai programmi” che ti fa capire che della Calabria a nessuno del Pd di Roma interessa.  Come ai tempi dell’omicidio Fortugno, quando dicevano al  Botteghino: “Della Calabria si occupano i calabresi”, giocando alle tre scimmiette del non vedo, non sento, non parlo.

E poi Irto ci ha messo il carico con “c’è un trasversalismo, in pezzi del centrosinistra calabrese, dovuto ad interessi comuni con pezzi del centrodestra”. Lo sapevamo. Ma adesso abbiamo la prova. Qualcuno dovrebbe spiegare.

Il segretario nazionale Letta, colui che doveva abolire le correnti, è finito travolto dall’onda calabra.

Non ha capito il disagio di Irto. Troppo tardi ha messo una toppa peggio del buco.

Letta doveva precipitarsi in Calabria spendendo la sua autorevolezza. Ha invece preferito delegare Boccia, uomo da ministeri, avulso da esperienze di rapporti del partito con i territori balcanizzati. Neanche nella sua Puglia brillava in questo ambito. Una spocchia spacciata per capacità di mediazione difficilmente farà risalire la china alla pirandelliana situazione calabrese.

Il Pd in Calabria è un partito da uno, nessuno, centomila.

I militanti che non vedono una tessera da anni, la memoria ha perso il ricordo di una manifestazione unitaria. La federazione regionale e quella provinciale sono commissariate da sempre come la sanità. Sul sito del partito nazionale dell’ultimo reggente, Graziano, non c’è neanche la fotografia. Quelli passati sono venuti solo a guadagnarsi un seggio in Parlamento.

In Calabria non è neanche questioni di correnti. il Pd è un partito di capitribù, come diceva il compianto Tonino Acri. In perenne lotta tra loro. Il loro teorema è: prima il capo, poi la tribù e infine il partito, che si è disintegrato da tempo.

E’ irto il percorso della sinistra calabrese. Molto. De Magistris a capo di un movimento plurale e diffuso al momento cammina in facile discesa.

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