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Paola De Micheli

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Intervista a Paola De Micheli in Calabria per le primarie del Pd: «Io unica tra i candidati ad aver fatto qualcosa per il Sud»

PAOLA De Micheli, ex ministra alle Infrastrutture nel governo Conte II e deputata dem, è stata la prima a candidarsi alla segreteria nazionale del Pd. E in campo è rimasta, mentre altri aspiranti segretari della prima ora facevano marcia indietro.

La descrivono come l’outsider della competizione – «l’underdog», scherza al telefono – o il terzo incomodo tra Bonaccini e Schlein. Intanto si è concessa una campagna congressuale inedita, in cui gira l’Italia e incontra i militanti presentando il suo libro, ‘Concretamente. Prima le persone’. Domani ne parlerà a Cosenza, alle 17 e 30 presso la sala ‘Fellini’. Nella stessa giornata sarà anche a Vibo e ad Acri.

Come nasce il volume?
«Ho scritto il libro dopo la candidatura, raccogliendo le prime idee per la mozione, ma il testo è figlio di un percorso di due anni in giro per l’Italia con l’associazione “Rigenerazione democratica”. Il libro contiene un’analisi severa delle ragioni che hanno portato il Pd da 12 milioni di voti a 5,4 milioni, all’interno di una riflessione più ampia che coinvolge le sinistre europee. C’è una parte molto approfondita sul tema femminile, che forse oggi riscriverei in modo anche più severa».

Perché?
«Perché secondo me si persevera nell’utilizzo strumentale di figure femminili funzionali alle carriere maschili».

Torniamo al libro e alla mozione. La sua idea di partito, sul piano organizzativo, qual è?
«Propongo una rivoluzione organizzativa che ha come obiettivo quello di dare ai soci dell’associazione, ovvero agli iscritti, il potere di decidere. Oggi gli iscritti non decidono nulla: né candidature, né riforme, né alleanze. Sarà per questo che gli iscritti sono passati da un milione a 50mila? Credo che questo sia un tema dirimente, ma da nessuno degli altri candidati ho sentito una parola sulla riorganizzazione del partito. Io immagino invece percorsi di partecipazione che siano anche di decisione. Propongo primarie aperte, con voto degli iscritti che vale doppio e quello degli elettori che vale uno, per scegliere il gruppo dirigente e prendere le decisioni politiche. La democrazia si compie pienamente con la decisione, come diceva Mattarella padre».

Forse su questo terreno è parso ai militanti che i 5 Stelle, con le loro consultazioni on line, vi avessero sorpassato ‘a sinistra’?
«La differenza sostanziale è che noi abbiamo i circoli fisici e la partecipazione fisica. Tanto che il nostro modello continua a essere vincente nei comuni. Nel libro c’è un capitolo dedicato proprio a questo, al gap di ‘performance’ elettorale del Pd tra elezioni amministrative e politiche. Perché nei comuni i circoli agiscono da sentinelle di quello che accade e c’è una discussione continua e una partecipazione anche alle decisioni politiche. Questa è la differenza con il M5S».

Però anche il modello dei circoli, eredità delle storiche sezioni, zoppica. Basta guardare alla realtà calabrese. Forse non è un caso se il calo dei consensi dem al meridione sia più grave che altrove.
«I circoli funzionano a macchia di leopardo in tutto il Paese. Al sud come al nord, qui soprattutto nelle aree interne. Molto dipende dalla disponibilità di risorse e quindi dagli eletti del territorio – ed è per questo che io propongo il ritorno al finanziamento pubblico dei partiti – così come dalla presenza di gruppi dirigenti motivati. Per quanto riguarda il calo di consensi al Sud mi faccia anche dire che in campagna elettorale il Pd ha commesso un errore esiziale: non aver valorizzato le politiche meridionaliste messe in campo mentre eravamo al governo. Abbiamo lasciato che fosse Conte a rivendicarle».

Abbiamo parlato di organizzazione del partito. Sul piano invece dei temi, la sua mozione si caratterizza per…
«La seconda parte del libro è dedicata alle proposte per il Paese, partendo dal lavoro. E dall’ambiente. Nella mozione inoltre mi concentrerò anche su riforma della sanità e scuola, chiarendo in modo netto la mia avversità all’autonomia in qualunque forma. Perché l’autonomia in Costituzione può avere senso solo se i punti di partenza sono uguali o simili per tutti, tra Nord e Sud, e tra i vari Sud e i vari Nord, tra le aree interne e le aree metropolitane. Il lavoro che deve fare il Pd oltre all’opposizione a Calderoli deve essere di fermo contrasto alle disuguaglianze, com’è avvenuto quando eravamo al governo con investimenti per il Sud».

Il governo Meloni promette di fare subito i Livelli essenziali delle prestazioni e avviare insieme l’autonomia. Mi sembra invece che lei dica di metter da parte ogni bozza di attuazione dell’autonomia e di pensare solo a ristabilire pari diritti per tutti.
«Sì, tanto più che per farlo ci vorranno anni. La priorità va assegnata a politiche contro le disuguaglianze sostanziali. Basta con la teoria giuridica dell’applicazione della Costituzione. Vogliamo che si modifichi la qualità della vita delle persone, concretamente. Questi sono i veri Lep».

Ha detto che punta ad arrivare al ballottaggio. Quali sono le sue sensazioni dopo questo inizio della campagna congressuale?
«La mia sensazione è che nel partito ci sia incertezza sulla scelta e una forte insoddisfazione rispetto alla discussione in atto sui contenuti. Io spingo sulle idee, ma vedo che la discussione pubblica vira solo sulla tattica, sul chi sta con chi. O al massimo sulle regole».

Un congresso con candidati al momento tutti del nord Italia. Si riconquistano così l’elettorato e i militanti della Calabria e del Sud?
«Tra i candidati io sono l’unica meridionalista che può dimostrare di aver fatto cose per il Sud. Ho dimostrato con i fatti che per la prima volta possono esistere decisioni che non si piegano al mercato, ma che sono scelte di politiche pubbliche economiche orientate al recupero da parte del Sud di quella che è l’oggettiva condizione di disuguaglianza. Penso alle politiche per sanare il gap infrastrutturale. Nel libro racconto che per la prima volta al ministero abbiamo deciso di fare infrastrutture non perché c’era mercato, ma per generare mercato. È stata una rivoluzione: negli ultimi trent’anni tutto era stato piegato a logiche di mercato, al numero di passeggeri. E non solo per motivi di finanza pubblica, ma perché anche la sinistra era diventata un po’ “mercatista”. Noi invece abbiamo detto: lo Stato ha il dovere di utilizzare le risorse pubbliche per garantire a tutte e tutti la possibilità di generare opportunità di mercato. Stessa strategia per le infrastrutture sociali. Con il Pnrr l’idea di fondo era quella di costruire scuole e asili dove le persone non ci sono. Nelle aree interne, dove le famiglie non si fermano perché appunto mancano i servizi».

Citava la sua esperienza da ministra delle Infrastrutture nel governo Conte II. Qual è la situazione dell’Alta Velocità sulla tratta Salerno-Reggio? In audizione in commissione alla Camera il ministro Salvini disse che in Calabria, per il trasporto passeggeri, non c’erano né fondi né progetto.
«Intanto ci sono le risorse nel fondo complementare del Pnrr e lo studio di fattibilità affidato a Italfer. Con i 50 milioni che stanziammo per la legge di bilancio 20/21. Mi auguro che nessuno metta mano a progetti e strategie. Da parlamentare dell’opposizione pretenderò che si vada avanti velocemente».

Per quanto riguarda invece la 106 ritiene che lo stanziamento di 3 miliardi in 15 anni, previsto dall’ultima legge di bilancio, sia adeguato?
«La decisione di stanziare 3 miliardi per la 106 era del governo precedente. E la richiesta del Pd era di massimo 10 anni. Un tempo congruo per una grande opera. Purtroppo il limite della 106 è che il livello di progettualità ereditato era inconsistente. Abbiamo fatto ripartire alcune tratte e inaugurato il terzo Megalotto. Ora occorre aprire il dibattito pubblico sui vari lotti: la condivisione con il territorio è essenziale per i progetti e la distribuzione delle risorse. Più velocemente si completa un iter di condivisione sul percorso fisico, più facile sarà progettare e accelerare i tempi di realizzazione. E potremo mettere in scacco il governo anticipando i finanziamentti. Le parlo di qualcosa di fattibile, da ministra ho nominato la Commissione nazionale per il dibattito pubblico, diventata modello per i territori. In Calabria si può già avviare il dibattito pubblico, anche in maniera non formale. Lo consiglierò agli amministratori».

D’altra parte la maggioranza dice che se i tempi di progettazione si accelerano, le risorse per la 106 saranno anticipate.
«Appunto. Allora gambe in spalla e pedalare. Si inizi a discutere di percorsi e modalità costruttive e si dia mandato a Italfer di progettare. Fatti, non chiacchiere».

Oltre alla 106, in questi ultimi mesi si è parlato tanto di Ponte sullo Stretto.
«Sono favorevole, lo feci ripartire io. Il vecchio progetto era oramai irrealizzabile, perché insostenibile sul piano finanziario e ambientale. Insediammo la commissione Catalano, che avanzò nuove proposte e mettemmo a disposizione 50 milioni che poi Enrico Giovannini assegnò a Rfi per lo studio di fattibilità».

In Calabria, e più in generale nel meridione, le recenti Politiche hanno lasciato parecchio malumore. Enza Bruno Bossio in direzione disse che la “rappresentanza territoriale del Mezzogiorno e quella femminile erano state massacrate”. Si lamenta la sottorappresentazione del Sud nella governance nazionale del partito e dei gruppi parlamentari e la mancanza di visione meridionalista. Come si interviene?
«Se scatta la rivoluzione organizzativa di cui le parlavo, con gli iscritti che partecipano alle decisioni, il sud e la sinistra meridionale verranno automaticamente messi nelle condizioni di poter contare. Se avessimo fatto le primarie aperte, con il voto degli iscritti che vale doppio, per scegliere i candidati al Parlamento, come sarebbe andata? E il risultato elettorale finale ne avrebbe tratto o no beneficio? Io credo di sì, altrimenti non avrei proposto questo modello. In tante aree del Paese, purtroppo, abbiamo corso con candidati slegati dal territorio. E quando le parlo di questo lo faccio con cognizione di causa: sono sempre passata attraverso selezioni del mio territorio e so quanto sia importante. Anche l’ultima volta sono stata capolista alle comunali di Piacenza e sono stata la più votata».

Qui in Calabria può contare su Enza Bruno Bossio. Chi altri è con lei?
«Oltre a Enza, ci sono Teresa Esposito, coordinatrice delle donne dem del partito, Ketty Belcastro, già sindaca di Caulonia, Francesco Ierace, assessore al comune di Gioia Tauro, il sindaco di Acri Pino Capalbo, Manlio Caiazza a Crotone. C’è un bel movimento, figlio della semina fatta negli anni sulle cose concrete. Oltre alla presenza fisica che io ho sempre garantito. Il partito calabrese sa da tempo che può contare su di me, concretamente».

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