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UN giornalista di 40 anni, Alessandro Bozzo, è stato trovato morto ieri nella sua abitazione di Marano Principato. Secondo gli accertamenti degli investigatori si è tolto la vita con un colpo di pistola. Ha lasciato una lettera di addio ai propri cari. Quello che segue è il nostro ricordo di Alessandro.
di ROBERTO GRANDINETTI
COME un tennista concentrato sulla battuta, quella decisiva, ha tirato un forte respiro e si è lasciato andare. In quegli ultimi istanti gli sarà passata tutta la vita davanti, con l’ultimo pensiero sicuramente dedicato alla figlioletta. Alessandro Bozzo ieri ha deciso di andarsene, di lasciare questa vita per sempre. Era un collega davvero bravo, prestato da qualche anno alla cronaca nera e giudiziaria. Lui, che si occupava di politica, si è subito adattato, scrivendo belle e sentite pagine di cronaca per “Calabria ora”. E come tutti i giornalisti amava e odiava il suo lavoro. Perché chi è davvero appassionato, ama e odia nello stesso tempo. Alessandro era diventato mio amico e da veri amici ci trattavamo. Ogni mattina ci incontravamo in tribunale. Forse in questi ultimi due, tre anni abbiamo passato più tempo tra noi che con le rispettive famiglie. E’ il dazio che devi pagare se vuoi fare questo lavoro. Scrivevamo per due giornali diversi, ma questo non contava. «Perché dobbiamo farci la guerra?», diceva. «Facciamo lo stesso lavoro e navighiamo nella stessa barca…». Lo diceva tranquillo e sorridente, quasi beffardo, perché alla fine anche a lui piaceva piazzare un bel “buco” alla concorrenza. Prendeva appunti con una penna nera, con scrittura minuta e precisa. Pare avesse tutto sotto controllo. Gi piaceva fare il duro, ma sono convinto che dentro era un buono. Pochissimi giorni fa gli feci sentire – mentre eravamo in attesa davanti alla stanza di un pm – una canzone, per me bellissima, ossia “Vivere la vita” di Mannarino.  «Ecco – mi disse sempre sorridendo – ti stai afflosciando. E a pensare che di te mi ero fatto un’immagine da duro…». Mi piacevano il suo volto e quei cappelli a volte al vento. Ci sfottevamo sui rispettivi look, assolutamente casual e senza cravatta. La passeggiata con lui nei corridoi del tribunale e della Procura era sempre piacevole e sempre diversa. Si parlava di tutto, dalle bollette allo stipendio che non basta mai. Era appassionato di tennis. Parlava di Federer, Nadal, Djokovic come pochi altri. Non si perdeva una sola partita, a costo di restare sveglio davanti alla tv fino a tardissima notte. E il giorno dopo ti parlava di quei match, ammaliando gli stessi magistrati, traducendo in poesia gli  ace, i dritti e i rovesci dei campioni con la racchetta: «Federer e Nadal? Si divertono, guadagnano e girano il mondo…», diceva ammirato, senza invidia. Aveva compiuto 40 anni pochi giorni fa: «Non festeggio – aveva  detto agli amici – perché non c’è niente da festeggiare…». Forse era il primo segnale che qualcosa in lui non andava. Si vantava, a buon diritto, di non avere un filo di grasso: «Sono un giovanotto». Sembrava uno spirito libero, un po’ ribelle. Ma quando parlava della figlia anche a lui, il duro senza un filo di grasso, luccicavano gli occhi. Quando capitava di chiedergli un piacere, la sua risposta era sempre la stessa: «A disposizione, amico mio». Una disponibilità sincera e disarmante, che ti faceva sentire sempre in difetto con lui. Ieri pomeriggio, quasi come un presentimento, l’ho cercato. L’ho chiamato al telefonino, ma lui non ha risposto. Dopo pochi minuti mi ha inviato un sms, inviato da “Alex Bozzo”. Così l’avevo memorizzato sul telefonino.  «Oggi nn lav. Non pss risp. A dpo». Quella sua risposta telegrafica e a parole monche mi aveva sorpreso. Era la prima volta che mi rispondeva in questo modo. Di solito richiamava o mandava un sms di altro tenore. Dopo poche ore la notizia della tragedia. Caro Alessandro, resta la rabbia di non aver saputo davvero leggerti dentro e magari fare qualcosa di veramente utile per te. Lunedì ritornerò in Procura e tu non ci sarai. Mi sentirò solo e sono sicuro che piangerò. Avevi ragione, non sono un duro… 

COME un tennista concentrato sulla battuta, quella decisiva, ha tirato un forte respiro e si è lasciato andare. In quegli ultimi istanti gli sarà passata tutta la vita davanti, con l’ultimo pensiero sicuramente dedicato alla figlioletta. Alessandro Bozzo ieri ha deciso di andarsene, di lasciare questa vita per sempre. Era un collega davvero bravo, prestato da qualche anno alla cronaca nera e giudiziaria. Lui, che si occupava di politica, si è subito adattato, scrivendo belle e sentite pagine di cronaca per “Calabria ora”. E come tutti i giornalisti amava e odiava il suo lavoro. Perché chi è davvero appassionato, ama e odia nello stesso tempo. Alessandro era diventato mio amico e da veri amici ci trattavamo. Ogni mattina ci incontravamo in tribunale. Forse in questi ultimi due, tre anni abbiamo passato più tempo tra noi che con le rispettive famiglie. E’ il dazio che devi pagare se vuoi fare questo lavoro. Scrivevamo per due giornali diversi, ma questo non contava. «Perché dobbiamo farci la guerra?», diceva. «Facciamo lo stesso lavoro e navighiamo nella stessa barca…». Lo diceva tranquillo e sorridente, quasi beffardo, perché alla fine anche a lui piaceva piazzare un bel “buco” alla concorrenza. Prendeva appunti con una penna nera, con scrittura minuta e precisa. Pare avesse tutto sotto controllo. Gi piaceva fare il duro, ma sono convinto che dentro era un buono. Pochissimi giorni fa gli feci sentire – mentre eravamo in attesa davanti alla stanza di un pm – una canzone, per me bellissima, ossia “Vivere la vita” di Mannarino. «Ecco – mi disse sempre sorridendo – ti stai afflosciando. E a pensare che di te mi ero fatto un’immagine da duro…». Mi piacevano il suo volto e quei cappelli a volte al vento. Ci sfottevamo sui rispettivi look, assolutamente casual e senza cravatta. La passeggiata con lui nei corridoi del tribunale e della Procura era sempre piacevole e sempre diversa. Si parlava di tutto, dalle bollette allo stipendio che non basta mai. Era appassionato di tennis. Parlava di Federer, Nadal, Djokovic come pochi altri. Non si perdeva una sola partita, a costo di restare sveglio davanti alla tv fino a tardissima notte. E il giorno dopo ti parlava di quei match, ammaliando gli stessi magistrati, traducendo in poesia gli  ace, i dritti e i rovesci dei campioni con la racchetta: «Federer e Nadal? Si divertono, guadagnano e girano il mondo…», diceva ammirato, senza invidia. Aveva compiuto 40 anni pochi giorni fa: «Non festeggio – aveva  detto agli amici – perché non c’è niente da festeggiare…». Forse era il primo segnale che qualcosa in lui non andava. Si vantava, a buon diritto, di non avere un filo di grasso: «Sono un giovanotto». Sembrava uno spirito libero, un po’ ribelle. Ma quando parlava della figlia anche a lui, il duro senza un filo di grasso, luccicavano gli occhi. Quando capitava di chiedergli un piacere, la sua risposta era sempre la stessa: «A disposizione, amico mio». Una disponibilità sincera e disarmante, che ti faceva sentire sempre in difetto con lui. Ieri pomeriggio, quasi come un presentimento, l’ho cercato. L’ho chiamato al telefonino, ma lui non ha risposto. Dopo pochi minuti mi ha inviato un sms, inviato da “Alex Bozzo”. Così l’avevo memorizzato sul telefonino.  «Oggi nn lav. Non pss risp. A dpo». Quella sua risposta telegrafica e a parole monche mi aveva sorpreso. Era la prima volta che mi rispondeva in questo modo. Di solito richiamava o mandava un sms di altro tenore. Dopo poche ore la notizia della tragedia. Caro Alessandro, resta la rabbia di non aver saputo davvero leggerti dentro e magari fare qualcosa di veramente utile per te. Lunedì ritornerò in Procura e tu non ci sarai. Mi sentirò solo e sono sicuro che piangerò. Avevi ragione, non sono un duro… 

 

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