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C’È qualcosa di inquietante che emerge dalle carte della meritoria inchiesta del pm Dominijanni e della Digos del capoluogo calabrese sul così detto modello Catanzaro. Un misto fritto in cui c’è di tutto, dalle trame paesane ai riti boccacceschi e più su e poi ancora più in alto, nel disegno su appalti e speculazioni, territorio da mangiare, posti da dividersi, concorsi farsa da bandire. Al netto delle conclusioni cui arriverà la meritoria inchiesta (è bene ripeterla questa espressione in tempi in cui ci si permette proditoriamente e anche impunemente di attaccare questi servitori dello Stato) il quadro che emerge è già oggi di assoluto squallore, politico ed etico, che suggerisce più spunti di analisi e discussioni. 

Uno più immediato sulle sorti dell’amministrazione guidata da Sergio Abramo, visto che gli sviluppi dell’inchiesta non possono non avere delle conseguenze in una città che non più tardi di due anni fa era stata squassata dalle polemiche sulla correttezza del voto che portò l’esponente dell’allora Pdl sulla poltrona di sindaco. C’è bisogno di un confronto urgente nelle sedi politiche istituzionali per dare un segnale forte alla città, non facendo finta di niente o, peggio, buttando tutto sugli atteggiamenti dei singoli e isolando il cuore vero delle questioni, cioè il governo del Comune. Non sarebbe male che si riaprisse, a tal proposito e in tutte le sedi, il dubbio mai sciolto sui reali motivi che portarono alle dimissioni due anni fa di Michele Traversa da sindaco. Una pagina mai svelata fino in fondo, visto che Traversa aveva vinto le elezioni quasi con il 70% e poi dopo alcuni mesi aveva incredibilmente gettato la spugna. Si disse che le troppe pressioni indebite sul suo operato avevano indotto Traversa ad andarsene. Ma tutto è rimasto sempre nell’ombra e tra il detto e il non detto. Ora è il caso, alla luce dei fatti corposi che l’informativa della Digos ci consegna, che si faccia chiarezza definitivamente. 

Si parla di grandi lottizzazioni nella zona a mare e in quella di Germaneto, non solo di multe non pagate o di allegre serate con signorine. Si parla dei posti da spartirsi nei concorsi-farsa e dei ruoli da dirigenti da attribuire e altro ancora. Ma il modello Catanzaro finito nella polvere mostra anche una infinita miseria morale di taluni personaggi pubblici coinvolti e l’assoluto disprezzo per l’etica pubblica, con la considerazione di fondo che ci si è appropriati dell’istituzione quasi fosse casa propria. Il modello Catanzaro diventa, insomma, come il più generale modello Calabria, cioè delle tante e troppe istituzioni pubbliche diventate il cortile di casa dei potentati di turno, in cui si permette di fare quello che si vuole, anche quello di non multare le auto dei così detti potenti. Una vergogna senza fine. 

Si è fatto passare troppo sotto silenzio da parte di un’opinione pubblica disattenta questo dato elementare e basilare che regge invece una comunità civile democratica. Catanzaro, in questo senso, si è allineata al modello Reggio Calabria e in tutti e due casi ci consegna un’ultima ma non per questo meno amara considerazione. Nel capoluogo calabrese è, infatti, cresciuta nell’ultimissimo periodo una leva politica di scarso valore (fatte salvo ovviamente alcune eccezioni) grazie alla complicità e ai silenzi della borghesia professionale e imprenditoriale della città, che ha venduto ai propri interessi le sorti di una città intera, ordendo una rete di cointeressenze con personaggi divenuti addirittura i leader pubblici ma di infimo valore da tutti i punti di vista, e finendo con il creare un coacervo politico-imprenditoriale che domina su affari pubblici e privati. Come e perché sia potuto accadere tutto ciò apre una grande questione: su come, cioè, si formano le classi dirigenti in questa nostra bella Calabria, su chi siano le classi dirigenti e su come si possa invertire una rotta, che è culturale ancor prima che politica. E’, alla fine, il discorso sulla Calabria da fare.

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