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Chi sa se c’è spazio in questi strani giorni per dedicare due minuti e un piccolo pensiero all’ultima medaglia di fango infilata al collo della Calabria. Chi sa se qualcuno se n’è accorto, ha letto questa notizia che da sola crea brividi di vergogna e imbarazzo. Un minore su due in Calabria vive in uno stato di povertà o sta per finirci dentro. Per la precisione sono il 47,1 per cento. Triste realtà, primato negativo italiano scivolato via nell’indifferenza.

Lo studio di “Save the Children” è uno schiaffo in pieno viso a una classe dirigente scialacquona, mediocre e superficiale. Ogni settimana arrivano nelle redazioni classifiche che vedono la Calabria messa male, agli ultimi posti in Italia. Anche concedendo ampi margini di errori e molti pregiudizi, leggiamo queste note con mesta rassegnazione. In qualsiasi campo o quasi, certe graduatorie si leggono dal basso, perché si fa prima a inquadrare la situazione. Ma questa dello stato di povertà dei bambini è un pugno allo stomaco, qualcosa che non si può accettare. Non meravigliatevi se anche voi la scoprite solo ora: non è stata commentata neanche da chi in teoria dovrebbe provare un po’ di imbarazzo. Da chi ricopre ruoli e incarichi importanti per conto della collettività. Avere il record di povertà per i più piccoli calabresi viene considerato un fatto normale. Come sta diventando normale avere una sanità a pezzi, trasporti di cento anni fa, scuole a rischio di alluvioni e terremoti, clan e boss che manovrano la vita di decine di Comuni, stare mesi senza l’acqua in casa, vedere migliaia di ettari di boschi inceneriti dagli imbecilli, riprendere la valigia e cercare buona sorte altrove.

E se non ci si occupa di queste emergenze in cosa altro sono affaccendati certi politici vanitosi e presuntuosi? Cose loro, solo cose loro, cose sofisticate, da stanze ovattate, battaglie e rivalità per questioni autoreferenziali: grandi e piccoli favori agli amici, energie e giorni spesi per una cerchia di persone ristretta, familiare, per lucidare carriere e ambizioni. Populismo? Qualunquismo? Ma un consiglio regionale che non spiccica un vocabolo su mezza Calabria a fuoco e l’altra mezza senza acqua, come lo volete definire, vicino ai cittadini? Impegnato nel suo ruolo di tutore del benessere pubblico? Potete scommetterci: questa storia dei bambini poveri andrà dritta dritta nel dimenticatoio. Non ci saranno scioperi della fame, incatenamenti, cortei, presidi di piazze e uffici. Non si sono letti messaggi su Facebook, tweet, email. Eppure il problema c’è, grande come il buco nero della sanità. Il numero dei piccoli in difficoltà non è da Paese civile. Fa rabbrividire. E oltre alle sofferenze fisiche e morali rappresenta una bomba sociale micidiale. Una miscela pericolosa da non dormirci la notte. Una miscela che finora non è esplosa perché altri calabresi hanno messo in campo solidarietà, impegno, energie, tempo sottratto alle proprie famiglie. Ci sarebbe da aprire su questo fronte un miliardo di contenziosi con il governo, andare a Roma e sbattere i pugni sul tavolo, gridare con rabbia fino a farsi sentire nei palazzoni dorati dell’Unione europea. Non è giusto, non può essere di questo secolo il dolore silenzioso e dimenticato di migliaia di ragazzine e ragazzini. Non può essere. È una macchia che sporca l’operato di tutta la classe dirigente, a cominciare da certi sindaci più preoccupati dell’immagine e delle cose effimere, invece di andare a mettere il naso nelle periferie disperate, tra la gente che vede il suo tenore di vita deteriorarsi ogni giorno. Essere poveri significa affrontare la vita dalla parte delle salite e spesso non riuscire ad arrivare fino in cima. Essere poveri significa privare a metà dei nostri ragazzi la possibilità di realizzare dei sogni, un progetto di vita, un’ambizione di lavoro.

Esseri poveri significa ridurre del cinquanta per cento il bacino di scelta della futura classe dirigente. Avere la metà delle possibilità di sperare di avere bravi medici, ingegneri capaci, magistrati, professori, giornalisti, imprenditori, artigiani, padri e madri di famiglia migliori. La povertà dei ragazzi non scompare al diciottesimo anno, dopo la festa (per chi può permettersela) per la maggiore età. È uno svantaggio che si accumula, ci si trascina dietro, uno svantaggio che una società come quella attuale di rado finisce per ridurre. Al contrario, si finisce per creare altre sacche di emarginati, con tutti i problemi che questa condizione comporta. Va combattuta non solo per spirito cristiano o per generosità e altruismo. È una sfida che in modo egoistico tutti devono affrontare. Meno poveri ci sono e meno poveri siamo tutti noi. Alla fine a perderci sarà la Calabria che verrà, quella di cui tutti parlano ma pochi sanno davvero.

I calabresi onesti, seri e generosi non meritano questa mortificazione. Non è solo una questione di carità: se qualcun altro voleva un motivo nobile per incatenarsi ai palazzi del potere ora l’ha trovato. Senza più alibi. Le chiacchiere stanno a zero. Come certi discorsi della politica sempre più straniera della realtà.

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