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Mimmo Lucano dopo la sentenza

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«Se fossi a conoscenza di qualcosa che mi fosse utile, ma risultasse pregiudizievole per la mia famiglia, lo scaccerei dalla mia mente. Se conoscessi qualcosa di utile alla mia famiglia, ma non alla mia patria, cercherei di dimenticarlo. Se conoscessi qualcosa di utile alla mia patria, ma dannoso all’Europa, oppure di utile all’Europa e pregiudizievole per il genere umano, lo considererei un delitto»: in questa pagina, il grande Montesquieu ci mostra la pericolosa deriva in cui può incorrere chi fonda le sue azioni sul ristretto interesse privato, sul familismo, sullo pseudo-nazionalismo e finanche sull’esasperato europeismo.

Per il filosofo francese, al di sopra di ogni scelta c’è l’interesse del genere umano. Compiere azioni che siano «pregiudizievoli per il genere umano» significa commettere «un delitto». È questo, in fondo, l’imperativo morale più alto a cui ogni singolo individuo deve rispondere per considerarsi un «essere umano».

La sentenza di primo grado del Tribunale di Locri, di cui ancora non conosciamo le motivazioni, sembra mettere in discussione questo principio universale enunciato da Montesquieu. E, nello stesso tempo, sconvolge l’orizzonte d’attesa delle priorità della giustizia in Calabria: il vero criminale è Mimmo Lucano che viene condannato a tredici anni e due mesi (quasi il doppio della pena richiesta dal pubblico ministero) per aver capitanato un’associazione a delinquere e aver commesso numerosi reati (tra cui truffa, abuso d’ufficio, peculato, falso ideologico).

Non si tratta qui di discutere l’operato della magistratura che non può in nessun modo essere condizionato. Ma alcune domande – giustificate anche dalla decisione della Suprema Corte di Cassazione che nel marzo 2019 aveva ritenuto insussistenti le ragioni che avevano portato a decidere la misura restrittiva della libertà personale – mi sembrano legittime: siamo sicuri che Lucano vada condannato come un pericoloso delinquente? Siamo sicuri che un uomo ridotto in povertà posso essere considerato capo indiscusso di «un’associazione criminale»? Siamo sicuri che in una zona ad alta densità mafiosa gli sforzi della magistratura si debbano concentrare su un uomo che ha avuto la “leggerezza” di fornire documenti a una bambina ammalata, figlia di rifugiati, per consentirle di essere curata in un ospedale? Siamo sicuri che accogliere esseri umani disperati – che fuggono dalla fame, dalle guerre e da ogni forma di violenza – debba essere considerato un reato?

Nelle ore subito dopo la sentenza, ho ricevuto tantissime telefonate di amici e colleghi italiani, francesi e spagnoli: erano esterrefatti, stupiti, increduli. In molti siamo convinti che l’ex Sindaco di Riace, ormai simbolo nel mondo di un modello aperto di accoglienza, sia vittima di un clima di odio e di egoismo che, in questi anni, ha avvelenato ogni forma di civile convivenza. Molte attestazioni di solidarietà stanno adesso circolando nel Web. E tantissime sono anche arrivate nel passato da noti protagonisti dello spettacolo (come Vinicio Capossela) e della cultura. Tra le tante, quella del fisico Marc Mézard, direttore dell’École normale supérieure di Parigi: proprio in questo tempio della ricerca europea, infatti, il 6 marzo di due anni fa, in un’aula stracolma di professori e studenti, Mimmo Lucano, Wim Wenders (che al tema dei migranti ha dedicato un bellissimo film intitolato Il volo) e altri illustri invitati hanno riflettuto sull’accoglienza e sull’incontro tra i popoli nel Mediterraneo. Un grande omaggio a Mimmo, certo. Ma sarebbe un errore considerarlo un antropologo o un sociologo: Lucano ha solo avuto il merito di “vedere” con il cuore. Di lottare con tutta la sua umanità e tutte le sue forze a favore di fratelli disperati, bisognosi di aiuto e di sostegno.

Mimmo ci ha insegnato che i poveri paesi-fantasma, spopolati dalla miseria che ha spinto nel passato migliaia di calabresi ad emigrare, avrebbero potuto trovare la forza di rinascere con l’arrivo di bambini, di giovani donne e uomini, di nuove energie.

L’esperimento di Riace ci aveva insegnato che gli “ospiti” non sono solo i migranti. Ma che tutti noi siamo “ospiti” di un pianeta che stiamo distruggendo, che stiamo impoverendo, che stiamo trasformando in un terreno di battaglia dove solo la violenza e la forza del denaro dettano legge. Mimmo ci ha mostrato, nel microcosmo di un piccolo borgo perduto, che dobbiamo imparare a essere ospiti l’uno dell’altro se vogliamo rendere l’umanità più umana.

È difficile esprimere la tristezza e lo scoraggiamento che mi hanno spinto a scrivere, a caldo, queste poche righe. Ma vorrei dire a Mimmo: non demordere. Perché chi ha onorato le leggi dell’umanità non ha nulla da temere.

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