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Gianni Cuperlo

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ULTIMO segretario della Fgci e punto di riferimento dell’ala sinistra del Pd, Gianni Cuperlo si candida per la seconda volta alla segreteria nazionale dem. La prima, nel 2013, contro Renzi. Arriva secondo e accetta l’incarico di presidente del partito. Lascia nel giro di qualche mese, in polemica con il segretario, e guida la frangia d’opposizione interna su jobs act, scuola, riforma costituzionale. «Mi dimetto perché voglio bene al Pd e voglio impegnarmi a rafforzare al suo interno idee e valori di quella sinistra ripensata senza la quale questo partito semplicemente cesserebbe di essere» spiega.

Oggi corre di nuovo per la segreteria – sfidando Bonaccini, De Micheli, Schlein – e lo fa, anche in questo caso, per amore verso il Pd, perché «è in gioco la sua stessa esistenza», dice a Repubblica, quando rompe gli indugi.

La sua campagna congressuale è partita ieri da Palermo, oggi toccherà la Calabria. Alle 16 e 30 sarà al Grand Hotel Lamezia, mentre domani incontrerà  amministratori e dirigenti a Castrovillari. Con lui si è schierato l’ex governatore Mario Oliverio e altre adesioni sono arrivate in queste ore: Aldo Casalinuovo, assessore a Catanzaro, Ernesto Palma, docente dell’Università Magna Graecia, il sindaco di Castrovillari Mimmo Lo Polito.

Onorevole Cuperlo, ha riflettuto molto prima di candidarsi. Non è riuscito proprio a riconoscersi in nessuno degli altri tre candidati? Nemmeno in Schlein, che pure sembrava potesse intercettare il consenso dell’ala sinistra del partito?

«Ho atteso perché ho sperato fino all’ultimo che la nostra discussione potesse essere finalmente centrata non sui nomi, sulla ennesima conta nei gazebo, ma su una riflessione sincera che avesse al centro le ragioni che ci hanno fatto perdere sei milioni di voti in quindici anni. Una discussione che aggredisse le cause di due scissioni guidate dai leader più longevi alla guida del Partito Democratico, Bersani e Renzi. E che non sfuggisse alle ragioni di due sconfitte severe, quella del 2018 con il minimo storico del consenso al Pd e la più recente, il 25 settembre dell’anno passato. Quando ho capito che ancora una volta il rischio era uscire da questa crisi limitandosi a sostituire l’ennesimo segretario o segretaria ho scelto, abbiamo scelto, di partecipare per dare un contributo di idee e passione a una nuova promessa democratica rivolta ai tanti delusi che hanno smarrito la fiducia verso di noi. Vogliamo dare una mano a far sì che il Pd, la principale speranza che abbiamo per opporre alla destra un’alternativa credibile, non veda messa in discussione la sua stessa esistenza e il fatto che in tanti si siano messi a disposizione di questa prova, spiegando che altrimenti non avrebbero partecipato al congresso più importante degli ultimi anni, è la conferma che era giusto imboccare questo sentiero». 

È la sua seconda corsa alla segreteria nazionale. Nel Pd crede davvero. Non ha preso la via della scissione, all’epoca di Articolo 1. Non c’è mai stato neanche un momento, dopo l’esito elettorale di settembre e nel dibattito che si è aperto, in cui ha pensato: forse sarebbe meglio tornare a Ds e Margherita?

«No, questo non l’ho mai pensato né dopo il 25 settembre né durante la fase più difficile per me e altri quando siamo stati minoranza nella stagione renziana. Allora non avevamo condiviso scelte che ritenevamo portassero a una rottura con una parte del nostro insediamento, il mondo del lavoro, le fasce sociali più fragili, dal Jobs Act al modo in cui si è pensato di gestire il rapporto con le parti sociali nel segno di una disintermediazione che voleva accentrare il potere nel governo. Eravamo consapevoli che si era presa una strada contraria ad alcuni dei valori costitutivi del centrosinistra. Ma anche in quel passaggio ho scelto come tanti altri di rimanere nel Pd perché sono convinto che all’Italia serva una forza centrale di una sinistra alternativa a una destra venata di pulsioni autoritarie».

Tutti, o quasi, tuonano contro le correnti e il danno che hanno fatto al partito. Una corsa alla segreteria così frammentata non rischia di ridursi, soprattutto nei territori, a una conta?

«Il rischio esiste e bisogna fare ogni sforzo per evitarlo. Il pluralismo dentro il Pd è un valore da preservare, ma non deve tradursi in filiere di comando. Mai come oggi abbiamo bisogno di una ricchezza di idee, di una visione aggiornata dell’economia e della società comprese le ingiustizie che colpiscono la dignità delle fasce più fragili. Per tutto questo il congresso non può e non deve trasformarsi in una conta o un derby tra le persone. La nostra piattaforma parte dai bisogni materiali dei troppi che in questi anni sono rimasti in fondo alla fila e senza voce».

Oggi sarà in Calabria. Qui troverà un partito che si è messo alle spalle una travagliata stagione di commissariamenti, ma che dalle Politiche è uscito un po’ con le ossa rotte. Ci sono state forti recriminazioni rispetto alla formazione delle liste, alla scelta dei candidati, al mancato ascolto delle richieste dei territori. Da aspirante segretario, che impegni prende con il Pd calabrese?

«Tre impegni semplici. Il primo è mai più liste costruite sulla testa o alle spalle dei territori. Ci sono tutti gli strumenti per farlo con consultazioni o primarie per selezionare candidature radicate in quelle realtà. Il secondo impegno è garantire sempre un equilibrio di genere con il giusto equilibrio tra esperienze e rinnovamento. Il terzo più che un impegno è un metodo: si deve fare un mestiere alla volta, basta con doppi e tripli incarichi, questo deve valere per tutti, dal segretario nazionale ai troppi commissariamenti di questi anni».

Le liste hanno un peso, è chiaro, sul dato elettorale. Ma poi ci sono i programmi. Lei ha definito il programma del Pd alle ultime Politiche, come il più ‘a sinistra’ degli ultimi anni. Eppure l’elettorato di sinistra non sembra essersene accorto, in molti casi ha preferito il M5S. Soprattutto al Sud dove il Movimento ha conquistato, lo abbiamo visto in Calabria, proprio le ex roccaforti rosse. Come si riconquista l’elettorato di sinistra? Come si riconquista l’elettorato meridionale?

«Dobbiamo riscoprire una coerenza tra le parole e le azioni. Se pensiamo che esista una vera emergenza sociale con oltre cinque milioni di italiani in una condizione di povertà assoluta, allora bisogna fare dell’aumento dei salari, fermi da trent’anni, e di una legge sul salario minimo legale le priorità della nostra iniziativa nel parlamento e nel Paese. Dobbiamo dire con onestà che il reddito di cittadinanza ha consentito a centinaia di migliaia di famiglie di reggere l’urto della crisi e del Covid. Quella misura si deve migliorare, tutelando quanti sono tecnicamente inoccupabili, e al contempo definendo strumenti adeguati e investendo risorse per creare concrete opportunità di lavoro e nella riforma dei centri per l’impiego e delle politiche attive per il lavoro. Sono perché il diritto alla cura, per una sanità pubblica che non condanni i più fragili a liste d’attesa bibliche per una visita specialistica o a una emigrazione sanitaria verso il Nord, diventi una battaglia di civiltà. Così come il contrasto all’abbandono scolastico in un Paese dove i ragazzi che provengono da ceti meno abbienti vengono bocciati in una percentuale nettamente superiore rispetto a chi in casa dispone di computer, tablet e wifi. Potrei citare il capitolo delle infrastrutture, della mobilità, dei trasporti pubblici locali. È inammissibile che due importanti regioni del Sud come la Calabria e la Sicilia, 7 milioni di abitanti, rimangano tagliate fuori dall’alta velocità accentuando cosi la loro condizione di marginalità. Insomma la sfida per noi è ricostruire un legame con i bisogni di quella parte del Paese che non si è più sentita vista e capita prima di tutto da noi».

Temi di sinistra, temi meridionalisti. Qual è la sua posizione sull’autonomia differenziata?

«È una posizione netta, la proposta avanzata dal ministro Calderoli è semplicemente irricevibile sotto il profilo del metodo e del merito. Del metodo perché il ministro non ha ritenuto neppure di passare dalla conferenza Stato-Regioni, nel merito perché quell’impianto è destinato ad accentuare in misura insopportabile le disuguaglianze tra Nord e Sud. Non possiamo accettare che il commercio con l’estero abbia la stessa ricaduta della scuola o della sanità pubblica e su questo punto la nostra posizione sarà ferma tanto più che l’impegno assunto dal governo – quello di dotare il Paese dei nuovi livelli essenziali delle prestazioni entro un anno – si scontra con un ritardo ventennale. La destra vuole rompere l’unità del Paese, per parte nostra faremo di tutto per evitarlo».

In Calabria la sostiene Mario Oliverio. La sua – quella di Oliverio, intendo – è una vicenda che potremmo considerare esemplare dei ‘tormenti’ del Pd calabrese. Cosa ne pensa?

«Penso che quella vicenda abbia segnato umanamente Mario Oliverio e politicamente la Calabria con una giunta legittimamente eletta che ha interrotto il suo mandato con la conseguenza di un cambio della maggioranza politica. Penso anche che da parte di Mario Oliverio vi sia stata una reazione di assoluta correttezza avendo sempre espresso rispetto per l’azione della magistratura e al contempo difendendo e rivendicando la sua correttezza, come del resto confermato dalle conclusioni dell’inchiesta».

Tema alleanze: per lei c’è ancora un futuro per il campo largo e con chi?

«Penso che noi abbiamo il dovere di attrezzare un’opposizione efficace a un governo che in soli tre mesi ha mostrato il vero volto della destra: favorire l’evasione, punire la povertà, lasciare migranti in balia delle onde per più giorni, firmare le cambiali di una lunga campagna elettorale con una decina di condoni nella prima manovra di bilancio. In compenso nulla su investimenti e produttività, un silenzio colpevole sui problemi del Mezzogiorno e una gestione delle risorse in arrivo dall’Europa che suscita più di un interrogativo sulla capacità di mantenere gli impegni presi con il Pnrr.  Per tutto questo dobbiamo costruire da subito un’alternativa a questa destra e farlo passa da una alleanza delle opposizioni nel Parlamento, ma passa soprattutto dalla nostra iniziativa nel Paese, nel rapporto con le forze sociali, con il mondo del civismo e del terzo settore, con le tante donne e uomini che oggi dobbiamo riconquistare nella fiducia. Il congresso dovrà servire anche a questo».

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