X
<
>

Condividi:
2 minuti per la lettura

REGGIO CALABRIA – Era riuscito a schivare il mandato d’arresto chiesto dalla Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria, e adesso, confermano fonti investigative, si trova ristretto nel carcere di Ancona per il reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso nei confronti di un noto penalista di Locri.

Protagonista della vicenda è Gian Luca Nirta, uno dei capibastone della ‘ndrangheta di San Luca in Aspromonte, coinvolto nell’operazione “Fehida”, coordinata dall’allora Procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, scaturita dalle indagini dopo l’omicidio della moglie, Maria Strangio, avvenuto a San Luca il giorno di Natale del 2006, omicidio che ebbe come risposta la cosiddetta “strage di Duisburg” del 15 agosto del 2007, quando un commando di ndrangheta guidato da Giovanni Strangio, uccise sei persone originarie di San Luca in Aspromonte dinanzi ad un ristorante, ritenute affiliate alle cosche rivali dei Pelle-Vottari, per vendicare la morte della sorella.

Secondo quanto si è appreso, Gian Luca Nirta era stato arrestato già dal 3 maggio scorso, ma per motivi di sicurezza nei confronti della vittima della sua presunta richiesta estorsiva, la notizia era rimasta segretata. Nel mirino del boss sanluchese, come si apprende, era finito l’avvocato Domenico ‘Micky’ Maio, già presidente del Consiglio comunale di Locri, consigliere comunale rieletto domenica scorsa in una lista di centrodestra con 384 voti di preferenza, che ha denunciato Nirta alla Procura della Repubblica per avergli intimato la richiesta di un milione di euro, pena gravi ritorsioni, fatto avvenuto anche in presenza di Pasquale Barbaro, latitante, genero di Gian Luca Nirta.

La vicenda sarebbe scaturita dagli esiti di un risarcimento giudiziario civilistico di cui è stato beneficiario un parente di Nirta, scomparso tragicamente.

Gian Luca Nirta è figlio del defunto boss Giuseppe “u versu”, deceduto nel febbraio di quest’anno nel carcere di Parma dov’era ristretto al 41bis, e in passato condannato per il sequestro del “re delle pellicce”, Giuliano Ravizza, avvenuto nell’ottobre del 1981, imprenditore lombardo rilasciato dopo tre mesi di prigionia in Aspromonte dietro pagamento di quattro miliardi di vecchie lire.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE