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L’uomo opera nel settore oleario, ma anche alberghiero e immobiliare con interessi anche in provincia di Catanzaro, Abruzzo e Toscana

REGGIO CALABRIA – Società, immobili, automezzi, titoli finanziari: è un vero proprio impero economico, il cui valore è stimato in 324 milioni di euro, quello confiscato stamane dalla Dia di Reggio Calabria a Vincenzo Oliveri, 62 anni, noto imprenditore operante nel settore oleario con interessi nel comparto alberghiero, in quello immobiliare e dei servizi, in Calabria – in particolare nella piana di Gioia Tauro e nella provincia di Catanzaro – ma anche in Abruzzo e in Toscana.

La Dia ha eseguito un decreto emesso dal Tribunale di Reggio Calabria. Oliveri, figlio del defunto Matteo Giuseppe, è socio, insieme al fratello Antonio, di 51 anni, in numerose iniziative imprenditoriali avviate sin dai primi anni Ottanta e culminate con la costituzione di un vero e proprio impero imprenditoriale le cui attività, partendo dal settore oleario, si sono diversificate nel tempo soprattutto in quello alberghiero di lusso.

Oliveri è stato coinvolto in diversi procedimenti penali per la commissione di reati associativi finalizzati alla commissione di truffe aggravate, frode in commercio, emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, conclusi con provvedimenti di prescrizione o amnistia. Di recente era stato arrestato per i reati di associazione a delinquere, truffa aggravata ed altro, in ordine all’indebita percezione di contributi erogati a favore di aziende facenti parte del suo gruppo imprenditoriale.

Per i giudici del Tribunale reggino i motivi della confisca sono basati sull’ingente patrimonio accumulato dall’imprenditore nel tempo, considerato frutto di attività imprenditoriali illecite , oltre che sulla sproporzione tra i redditi dichiarati e quelli percepiti.

La confisca ha riguardato 15 società (di cui è stata disposta la confisca della sola quota dell’imprenditore), 88 immobili, 7 autoveicoli, 385 titoli comunitari (aiuti all’agricoltura) che gli davano diritto a percepire dall’Agea la somma di circa 1,6 milioni di euro annui, e svariati conti correnti societari e personali. Le aziende confiscate – è stato precisato – proseguiranno comunque la loro attività tramite amministratori giudiziari.

Sulla vicenda sono intervenuti i legali dell’imprenditore, gli avvocati Giuseppe Fonte e Salvatore Staiano: «Nel caso di specie non si è trattato di misura di prevenzione patrimoniale applicata a soggetto ritenuto colluso con ambienti di ‘ndrangheta. La confisca disposta dal Tribunale di Reggio Calabria è stata applicata nei confronti di soggetto cosiddetto “genericamente pericoloso”».

«La misura applicata, che riteniamo il risultato di un errore giurisdizionale – proseguono i due legali – attese le emergenze peritali acquisite agli atti del processo, saranno nei prossimi giorni impugnate in sede di appello». 

Secondo il procuratore Federico Cafiero de Raho, «l’operazione è rilevante non solo per il notevole valore dei beni confiscati, ma per la ricostruzione dei passaggi fiscali e societari effettuati dalla Dia di Reggio Calabria che hanno permesso al Tribunale della Prevenzione di emettere la sentenza di confisca».

«Da qui – ha aggiunto de Raho – l’applicazione a carico dei soggetti indagati della pericolosità sociale e la contestazione della provenienza illecita dell’enorme patrimonio. Ancora una volta voglio sottolineare lo straordinario impegno di lavoro dei colleghi del Tribunale per le Misure di Prevenzione, che operano soltanto in tre, che hanno permesso con il lavoro questo grandissimo risultato». Cafiero de Raho, infine, ha auspicato che «la proposta di legge di riforma dei reati contro la Pubblica amministrazione in discussione in commissione Giustizia al Senato possa prevedere la confisca dei beni non solo per il corrotto, ma anche per il corruttore».

Il capo centro della Dia, col. Gaetano Scillia ha aggiunto: «Il gruppo Oliveri ha tentato di alterare i risultati economici, denunciando, per esempio, una resa produttiva di dieci volte superiore alla qualità media dei loro terreni, ottenendo la possibilità di ricevere dall’Agea contributi per 1,6 milioni di euro all’anno. Un raggiro, però, che abbiamo scoperto grazie allo studio effettuato dall’Ismea. Ed ancora: 85 milioni percepiti grazie alla ‘488’, 15 milioni dall’ex Aima, in tutto cento milioni in contanti. Un vorticoso giro di affari che però era sempre sfuggito ai rigori della legge grazie alle prescrizioni intervenute. Tutte le aziende confiscate – ha concluso – stanno comunque proseguendo le attività regolarmente ed affidate dall’autorità agli amministratori giudiziari». 

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