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La tendopoli di San Ferdinando

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GIOIA TAURO (REGGIO CALABRIA) – «Per il quinto anno consecutivo dobbiamo purtroppo constatare che sull’emergenza profughi e lavoratori stagionali di San Ferdinando ben poco e cambiato». Lo ha detto Jennifer Locatelli, coordinatrice e autrice del Rapporto sulle condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri nella Piana di Gioia Tauro realizzato da Medu, Medici per i diritti umani, in collaborazione con Arci “Iqbal Masih” di Venosa, Flai-Cgil di Gioia Tauro, Comune di Rosarno, Terra Onlus, Associazione culturale Zalab e Amisnet/Echis.

Il rapporto, che è stato presentato a Reggio Calabria, nasce dall’esperienza condotta negli ultimi cinque anni da Medu a favore dei lavoratori migranti della Piana di Gioia Tauro. Sono 3.500 le persone, distribuite in vari insediamenti sparsi sul territorio utilizzate come manodopera a basso costo dai produttori locali di arance, clementine e kiwi. La maggior parte di loro si concentra a San Ferdinando dove permangono gravi carene igienico sanitarie a livello abitativo e di sicurezza.

«Nel lavoro – ha aggiunto Locatelli – se anche si registra un lieve incremento delle regolarizzazioni dei lavoratori, che raggiunge appena il 30% del totale, non vengono sempre rispettati i più elementari diritti ed è spesso a rischio anche la stessa paga del lavoro».

Il rapporto Medu riguarda anche aspetti come conoscenza della lingua, condizioni sanitarie, documentazione per motivi umanitari o richiesta asilo. «Il quadro complessivo resta allarmante – è scritto nel rapporto – anche se non sono mancate promesse e dichiarazioni da parte delle istituzioni di interventi per migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti. Ma si tratta di un impegno sulla carta e a parole che non si è ancora tradotto in azioni concrete».

«Le nostre più che proposte sono raccomandazioni – ha sostenuto ancora Locatelli – nel campo abitativo, lavorativo, delle condizioni giuridiche ed anche della salute. Soluzioni che sono state già individuate dalle istituzioni e contenute nei protocolli e nelle convenzioni sottoscritte negli anni. Diciamo che c’è già una sensibilità. Quello che manca sono dei passi concreti. Cominciamo a fare dei primi passi per poter vedere un cambio reale della situazione».

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