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L'operazione dei carabinieri

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ROSARNO (REGGIO CALABRIA) – I carabinieri di Reggio Calabria, coordinati dalla Dda, hanno eseguito un provvedimento di custodia cautelare a carico di 45 persone ritenute responsabili a vario titolo di associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico internazionale di droga, tentato omicidio, estorsione, porto e detenzione di armi, danneggiamento e altri reati. In manette sono finiti gli esponenti del clan “Grasso-Cacciola” di Rosarno ed, in particolare, le donne della cosca.

La misura conferma in toto l’impianto accusatorio dell’indagine, avviata nel settembre del 2017 dal Nucleo investigativo del Gruppo Carabinieri di Gioia Tauro, che il 9 luglio scorso aveva portato al fermo di 32 persone.

LA SCHEDA: I NOMI DELLE PERSONE COINVOLTE

Oltre ai destinatari del fermo, fra gli arrestati figurano altre sette persone, non destinatarie del provvedimento del 9 luglio, con ruoli di rilievo in due cosche di Rosarno.

Dalle indagini emergono, in particolare, le responsabilità penali di quattro donne, che con le loro condotte hanno apportato, secondo l’accusa, un contributo sostanziale al perseguimento dei fini illeciti dell’organizzazione.

GUARDA IL VIDEO DELL’OPERAZIONE

Nell’operazione sono stati ricostruiti gli assetti e gli equilibri interni ed esterni alla cosca Cacciola, documentati nel corso tempo grazie alle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia ed attualizzati dall’articolata attività investigativa, convenzionalmente denominata “Ares”, che ha accertato come l’originaria compattezza della cosca si fosse affievolita già dopo la scomparsa di Domenico Cacciola, avvenuta nel 2013, ucciso, dai suoi sodali per lavare l’onta di una relazione extraconiugale intrattenuta con una donna riconducibile ai “Bellocco”, Francesca Bellocco, anche lei vittima di omicidio per mano del figlio.

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Sette le persone, cinque in carcere e due agli arresti domiciliari, che ricoprono un ruolo centrale nell’operazione di oggi. In particolare emergono le responsabilità penali attribuibili alle “donne del clan”, Anna Maria Virgiglio, Antonietta Virgiglio e Marilena Grasso, tutte legate da vincoli parentali strettissimi con i vertici della cosca “Cacciola-Grasso”.

Le donne hanno dimostrato di essere pienamente inserite nei meccanismi illeciti dell’organizzazione, con il compito di assistere gli affiliati nella detenzione e nel porto delle armi della consorteria, di favorire i contatti fra affiliati, anche nei confronti di quelli detenuti, in generale cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso. Alle donne era anche riservata la gestione delle iniziative imprenditoriali attraverso le quali la consorteria criminale “ripuliva” le consistenti somme di provenienza illecita. Gli esercizi commerciali, avviati al solo scopo di riciclare il denaro ricavato essenzialmente dal narcotraffico, sono stati sottoposti a sequestro preventivo contestualmente all’applicazione dei fermi di indiziato di delitto degli inizi del mese e, attualmente, vengono gestiti in regime di amministrazione giudiziaria.

Ulteriori tre nuovi provvedimenti sono stati emessi nei confronti di Michele Grasso, Roberto Cutano, Giuseppe Mesiti, già tratti in arresto nello scorso mese di giugno nell’ambito di operazioni antidroga predisposte dai Carabinieri nella piana di Gioia Tauro.

Michele Grasso viene ritenuto organico ad una delle organizzazioni di ‘ndrangheta, la cosca “Cacciola”, quale partecipe, mentre Giuseppe Mesiti e Roberto Cutano sono coinvolti a pieno titolo nel traffico di sostanze stupefacenti gestito dall’organizzazione, partecipando all’importazione di un ingente quantitativo di stupefacente dal Sud America. Inoltre a Cutano viene contestata, insieme a Rosario Grasso e Giuseppe Suriano (già destinatari del fermo del 9 luglio scorso), il concorso in un’estorsione aggravata dal metodo mafioso, avendo imposto ai titolari dell’esercizio commerciale “Upim” di Amantea, di contattare i referenti delle organizzazioni mafiose locali per definire i termini del pagamento del “pizzo” per svolgere la loro attività.

Un ulteriore provvedimento di custodia cautelare in carcere è stato emesso a carico della criminologa Angela Tibullo, accusata di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, corruzione in atti giudiziari e intralcio alla giustizia, aggravati dalle finalità mafiose. Dagli approfondimenti svolti dai militari dall’Arma di Gioia Tauro è emerso chiaramente il ruolo rivestito da Tibullo che, in virtù della professione esercitata, è risultato determinante nelle dinamiche associative e nel perseguimento degli interessi illeciti di alcune pericolose articolazioni di ‘ndrangheta del “mandamento tirrenico”, con particolare riferimento alle cosche Crea di Rizziconi, Grasso e Pesce di Rosarno, mettendo a disposizione dei propri assistiti detenuti indebiti vantaggi penitenziari, o sotto forma di riconoscimento di un regime cautelare più favorevole, o sotto forma di altri illeciti benefici, tra i quali il trasferimento verso un carcere ritenuto più consono.

In particolare, le indagini hanno permesso di accertare come la professionista si sia prodigata in favore degli affiliati detenuti per far ottenere loro la scarcerazione per incompatibilità con il regime carcerario, redigendo false consulenze e corrompendo i periti d’ufficio nominati dall’autorità giudiziaria per valutarne lo stato di salute o i medici impiegati all’interno delle strutture di reclusione. Inoltre, sono stati documentati numerosi episodi che confermano la consapevole agevolazione delle condotte criminali dei propri assistiti, avendo veicolato all’esterno delle carceri i messaggi dei detenuti e avendo fornito ogni altra forma di ausilio agli associati, tanto da essersi prodigata anche per reperire le abitazioni dove far trascorrere le misure detentive alternative al carcere.

Tibullo, che nelle intercettazioni confida la sua aspirazione al ruolo di “regina della penitenziaria”, per soddisfare tali ambizioni, palesemente illecite, ha creato un vero e proprio “sistema criminale”, aggregando professionisti, medici o funzionari compiacenti o minacciando di escludere da successivi “affari” quelli che dimostravano di non rispettare le sue indicazioni. I sei destinatari della misura cautelare in carcere, già sottrattisi al fermo del 9 luglio, sono tuttora irreperibile ed attivamente ricercati.

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