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Mimmo Lucano

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RIACE (REGGIO CALABRIA) – Il sindaco (sospeso) di Riace Mimmo Lucano era «pienamente consapevole della illegalità di alcune sue condotte finalizzate ad “aiutare” extracomunitari».

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Lo scrive la Cassazione, nelle motivazioni della sentenza, depositate oggi, con la quale il 21 marzo scorso ha deciso di revocare l’obbligo di firma a cui era sottoposta la compagna di Lucano, Lemlem Tesfahun.

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DELL’ACCOGLIENZA DOMENICO (MIMMO) LUCANO

Un mese fa, la sesta sezione penale della Cassazione ha accolto in parte il ricorso presentato dalla difesa contro la decisione con cui il Riesame, il 16 ottobre scorso, aveva revocato a Lucano gli arresti domiciliari a cui era stato sottoposto all’inizio di ottobre con un’ordinanza del gip di Locri, imponendo però al sindaco il divieto di dimora nel territorio del Comune di Riace (LEGGI LA NOTIZIA). Sarà nuovamente la Corte d’Appello a doversi pronunciare sulla posizione di Lucano, anche se la Cassazione non ha ancora depositato le motivazioni.

Nelle motivazioni depositate oggi, invece, si afferma che «In termini esaurientemente congrui e logicamente ineccepibili», il tribunale del Riesame di Reggio Calabria, lo scorso 16 ottobre, “ha desunto” da intercettazioni e indagini di polizia giudiziaria «l’esistenza di una ramificata attività formalmente lecita, gravitante intorno al fenomeno della protezione internazionale per gli stranieri richiedenti asilo e per i rifugiati, nell’ambito della quale risultano commessi alcuni reati, probabilmente commessi per finalità moralmente apprezzabili ma formalmente integranti gli estremi di illecito, connessi alla creazione di situazioni apparenti finalizzate alle celebrazioni di “matrimoni di convenienza” o “di comodo” tra italiani e straniere allo scopo di permettere a quest’ultime di trattenersi in Italia», nonché «l’esistenza di una intensa relazione sentimentale tra i coimputati Lucano e Tesfahun, che li aveva portati a concordare la specifica iniziativa criminosa oggetto del presente procedimento», ossia quegli atti «diretti a procurare – secondo l’ipotesi accusatoria – illegalmente l’ingresso in Italia» del fratello della donna «mediante falsa documentazione attestante un matrimonio con la predetta». 

Secondo la Corte, Lucano aveva «condiviso tali sue iniziative anche con Tesfahun, rilasciando una attestazione comunale nella quale era stata omessa l’indicazione del suo stato di coniugata che sarebbe servita alla donna per recarsi in Etiopia per acquisire la documentazione relativa ad un fittizio matrimonio con il fratello, già coniugato con altra donna in quel paese, necessaria per permettere a questi di entrare in Italia», un programma «poi non portato a termine a causa dell’intervenuto arresto dell’uomo, perché trovato in possesso di documenti falsi relativi appunto a quel matrimonio – si legge ancora nella sentenza – cosa che aveva spaventato anche l’indagata, che aveva temuto di essere arrestata». 

Alla luce di ciò, è “irrilevante”, osserva ancora la Cassazione condividendo le conclusioni del Riesame, che «Lucano si fosse chiesto come mai Tesfahun risultasse essere sposata», come emerge da un’intercettazione, «poiché ciò che conta è che tale circostanza fosse stata annotata nei registri dell’ufficio anagrafe di Riace e che il sindaco la fece abusivamente cancellare, con la consapevole complicità della stessa donna, per permetterle di celebrare un fittizio matrimonio all’estero e cercare di far entrare con lei il germano in Italia».

Quanto, invece, alla misura dell’obbligo di firma che era stato imposto alla compagna di Lucano, la Cassazione osserva che “tale scelta” per un “isolato episodio” di reato «dimostra palesemente la totale mancanza di adeguatezza di quella misura rispetto a un bisogno di cautela, invero rappresentato in termini di scarsa concretezza». Da qui l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza del Riesame sul punto e la cessazione dell’efficacia della misura cautelare per Lemlem Tesfahun.

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