X
<
>

Il giudice Antonino Scopelliti

Condividi:
2 minuti per la lettura

REGGIO CALABRIA – Il magistrato di Cassazione Antonino Scopelliti fu ucciso dalla ‘ndrangheta per fare un favore a Totò Riina, che temeva l’esito negativo del ricorso in Cassazione contro le condanne al maxiprocesso di Palermo che avevano decimato capi e gregari di Cosa Nostra e gettato un’ombra di gravi sospetti sul rapporto tra organizzazioni criminali e poteri deviati dello Stato.

A sostenere la tesi secondo la quale l’omicidio di Antonino Scopelliti sarebbe stato messo a segno dalla ‘ndrangheta per fare un favore alla mafia, a dimostrazione dell’esistenza di uno stretto rapporto tra le due organizzazioni criminali di Calabria e Sicilia è stato Francesco Onorato, reo confesso dell’omicidio del capo della corrente andreottiana in Sicilia Salvo Lima, che ha deposto oggi in Corte d’assise a Reggio Calabria nel processo denominato «’ndrangheta stragista».

SCOPRI TUTTI I CONTENUTI
SULL’OPERAZIONE ‘NDRANGHETA STRAGISTA

Rispondendo alle domande del procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia Giuseppe Lombardo, Onorato ha ribadito di non conoscere gli autori materiali dell’agguato mortale al sostituto procuratore generale della Cassazione Scopelliti, ma che «tutto avvenne per uno scambio di favori e non si poteva dire di no». Il pentito ha fatto però i nomi delle famiglie di ‘ndrangheta pronte allo scambio eguale in fatto di omicidi e traffici criminali: i De Stefano, i Mancuso e i Piromalli.

«Quando ci riunivamo in Calabria – ha detto Onorato – tornavamo in Sicilia con le macchine piene di salame, formaggio e ‘nduja, riunioni in cui si discutevano questioni delicate e favori da scambiare. Era notorio – ha sottolineato Onorato – che chiunque di Cosa nostra si trovasse in transito dal carcere di Reggio Calabria veniva sempre accolto con grande solidarietà da tutti i detenuti per volere di Paolo De Stefano il quale si faceva carico di farci pervenire pranzi costosi, anche a base di aragosta». Per il collaboratore «non tutte le cosche di ‘ndrangheta avevano lo stesso peso» e con i siciliani potevano interfacciarsi solo De Stefano, Mancuso e Piromalli.

Il collaboratore ha anche ricostruito il clima degli anni ’90, i rapporti con alcune frange della Democrazia Cristiana siciliana, ormai in crisi: «Salvo Lima – ha detto – fu ucciso per non avere mantenuto gli impegni con Cosa Nostra per quanto riguardava la sentenza del maxi processo. Dopo qualche anno dall’omicidio Lima si cominciò a parlare di nuovi referenti, Berlusconi e Dell’Utri, per i quali si doveva votare, anche per modificare il 41 bis».

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE