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COMO – La Polizia di Stato e la Guardia di Finanza, coordinate dalla Dda di Milano, hanno arrestato due uomini ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, favoreggiamento, frode fiscale, bancarotta, intestazione fittizia e possesso illegale di armi, aggravati dal metodo mafioso.

Il primo dei due arrestati, si chiama Bartolomeo Iaconis, detto Bartolo, 64 anni, originario di Giffone e ritenuto il capo storico della locale di Fino Mornasco sin dai tempi dell’operazione «I fiori della notte di san Vito» negli anni Novanta. La notifica del provvedimento gli è stata notificata in carcere a terni dov’era detenuto perché condannato in via definitiva per 416 bis quale “capo società” della Locale di Fino Mornasco sia nell’ambito dell’operazione “La Notte dei Fiori di San Vito” ma anche perché condannato in secondo grado all’ergastolo come mandante dell’omicidio di Franco Mancuso, compiuto da un altro giffonese nel 2008 nei pressi di un bar a Burgarello in provincia di Como.

Iaconis è accusato di aver gestito i suoi affari malgrado la reclusione impartendo disposizioni ai suoi uomini, tra cui un violento pestaggio nei confronti di un soggetto debitore di somme di denaro e anche per tutta una serie di bancarotte e reati fiscali legati alle sue società, formalmente intestate a prestanome.

Si tratta di due nuove misure che seguono l’operazione «Cavalli di razza» eseguita dalla squadra Mobile di Milano, insieme alla guardia di Finanza di Como, lo scorso novembre. In questo nuovo filone gli investigatori si sono concentrati sugli ordini che Iaconis riusciva a impartire dal carcere. Sue, ad esempio, le indicazioni ai famigliari per recuperare contanti (almeno 55 mila euro, ma potrebbero essere molti di più) nascosti a tre metri di profondità sotto al maneggio «Bart Ranch» di Oltrona San Mamette (Como) già oggetto di confisca. Ma anche le dritte per svuotare i conti delle società dietro le quali si nascondeva.

Un boss feroce, come testimonia la sua storia giudiziaria, ma che in nome della capacità di adattamento delle cosche calabresi ha imparato a destreggiarsi tra fatture, Iva e conti correnti. Tra le accuse anche quella di aver prestato soldi a diversi imprenditori della zona. Chi non pagava veniva «convinto» con pestaggi e minacce nei locali del Bart Ranch. Eloquente la frase intercettata di una vittima: «No io al maneggio non vengo perché non voglio prendere altre scarpate!».

Il secondo uomo arrestato, un 44enne originario del catanese, ma residente nel comasco, è accusato di aver fornito un supporto logistico all’associazione mafiosa, partecipando agli scavi e mettendo a disposizione la strumentazione per eseguirli, al fine di recuperare la somma di 55mila euro occultata all’interno di un maneggio nel comasco. Quest’ultimo, riconducibile all’associazione, è stato sottoposto a sequestro nell’ambito di apposita misura di prevenzione patrimoniale.

Gli arresti sono stati autorizzati dal gip del Tribunale di Milano, su richiesta della Dda, nell’ambito di una complessa indagine che, già nel novembre del 2021, aveva portato all’arresto di 54 persone indagate per i medesimi reati nonché per estorsione, ricettazione, riciclaggio e corruzione, e che aveva fatto luce sull’operatività di famiglie di ‘ndrangheta operanti nelle province di Milano, Como e Varese, nonché sulle loro proiezioni in Svizzera.

Nel corso delle indagini, che hanno documentato anni di storia criminale del territorio lombardo, sono stati fotografati tre periodi storici, caratterizzati da altrettante modalità di assoggettamento del territorio: dalle estorsione in danno di imprenditori locali al controllo e gestione economica di appalti del servizio di pulizia al sistema di frode fiscale.

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