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Le motivazioni della sentenza d’Appello del processo Xenia di fatto riabilitano Mimmo Lucano che per i giudici nessun “arrembaggio alle risorse pubbliche”. L’ex sindaco operava “certo di poter alimentare una economia della speranza”


REGGIO CALABRIA – Lo scorso ottobre era giunta la sentenza, nell’ambito del procedimento Xenia, che aveva fortemente ridimensionato le accuse a carico di Mimmo Lucano, già sindaco di Riace, accusato di varie imputazioni con riferimento alla gestione dei progetti di integrazione di cui Riace è stata protagonista negli scorsi anni, adesso giungono le motivazioni che hanno portato i giudici d’appello a condannare per una sola ipotesi di falso lo stesso Lucano. Non una cosa da nulla se si pensa che in primo grado Lucano aveva subito la condanna a 13 anni e 2 mesi di reclusione ridotta, invece, a soli 18 mesi con pena sospesa in sede di Appello.

“L’ampia istruttoria – scrivono i giudici – non ha offerto elementi per ritenere provati nessuno degli elementi che, nella pratica giudiziaria, vengono valorizzati per dimostrare l’esistenza di una struttura associativa”. Inoltre “i dialoghi intercettati in linea con gli accertamenti patrimoniali compiuti su Lucano Domenico suggeriscono di escludere che abbia orchestrato un vero e proprio ‘arrembaggio’ alle risorse pubbliche”.

IL PROCESSO XENIA E LE ACCUSE A MIMMO LUCANO

Il processo Xenia era la conseguenza giudiziaria di una inchiesta della Guardia di finanza sulle presunte irregolarità nella gestione dei progetti di accoglienza dei migranti attuati nel Comune di Riace. In particolare, Lucano era accusato, tra le altre cose, di essere il promotore di un’associazione a delinquere finalizzata alla gestione illecita dei fondi destinati ai progetti Sprar e Cas. nello specifico, tra i capi di imputazione contestati c’era anche la truffa aggravata, l’abuso d’ufficio, diversi falsi e un caso di peculato. In sede di appello, però, come detto, le accuse sono tutte cadute con l’esclusione di un episodio di falso. Nelle motivazioni della sentenza, quindi, i giudici di secondo grado esplicitano che hanno ritenuto non utilizzabili le intercettazioni telefoniche e ambientali, ma ciò “non impedisce di individuare elementi di prova favorevoli agli imputati”.

La Corte d’Appello reggina ha accolto le ragioni degli avvocati della difesa Andrea Daqua e Giuliano Pisapia in relazione al reato di associazione a delinquere: “L’esistenza di uno stabile accordo di natura delittuosa – è scritto – nemmeno può essere desunta”. Per la truffa aggravata, invece, “manca la prova degli elementi costitutivi il reato” mentre le determine per le quali Lucano era accusato di falso ideologico in realtà “non erano funzionali a ottenere le somme del Ministero”. Analoga considerazione vale l’ipotesi di peculato, reato, per i giudici, “non configurabile per la gestione e destinazione di somme di provenienza pubblica, anche dopo la loro corresponsione, quale corrispettivo del servizio, pattuito a seguito di apposito contratto e prestato”.

PER L’APPELLO NEL CASO LUCANO NON C’ERA UNA “LOGICA PREDATORIA DELLE RISORSE PUBBLICHE”

Ma oltretutto cade anche il presupposto accusatorio della sussistenza di possibili vantaggi patrimoniali collegati ai migranti lungopermanenti che rimanevano a Riace anche dopo il periodo di collocazione nei progetti Cas e Sprar. In particolare, per i giudici c’era “la piena consapevolezza, – si legge nella motivazione – da parte del Servizio centrale e della Prefettura, della presenza dei cosiddetti lungopermanenti”. E per quanto riguarda proprio i lungopermanenti, in presenza dei “presupposti di legge, andavano al limite espulsi con provvedimento di competenza prefettizia e non certo del sindaco”.

Infine, per la Corte d’Appello è da ritenere assolutamente insussistente la “logica predatoria delle risorse pubbliche” ipotizzata dal tribunale di Locri che ha emesso al sentenza di primo grado. Al contrario, “i dialoghi captati – aggiungono i giudici di Appello – mettono in luce lo spirito di fondo che ha mosso l’imputato, certo di poter alimentare una economia della speranza, funzionale a quella che più volte Lucano ha definito essere la sua mission, ovvero poter aiutare gli ultimi”.

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