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Una nave della Caronte & Tourist

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REGGIO CALABRIA – Mezzo miliardo di euro. È il valore della società Caronte & Tourist sequestrata stamattina dalla Dia di Reggio Calabria nell’ambito di un’operazione coordinata dalla Procura Distrettuale della Repubblica reggina guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri.

L’azienda valutata 500 milioni di euro avrebbe agevolato esponenti della ‘ndrangheta. Il sequestro riguarda la società di navigazione privata Caronte & Tourist, che si occupa del traghettamento tra le sponde calabresi e siciliane dello Stretto di Messina,

Il provvedimento, notificato nell’ambito dell’operazione denominata “Scilla e Cariddi”, ha disposto l’amministrazione giudiziaria per un periodo di 6 mesi.

Il decreto del Tribunale è stato emesso su richiesta dei sostituti procuratori Stefano Musolino e Walter Ignazzitto, coordinati dai procuratori aggiunti Calogero Gaetano Paci e Giuseppe Lombardo, che hanno delegato alla Dia gli accertamenti patrimoniali, in esito alle acquisizioni investigative del procedimento ‘Scilla e Cariddi’.

Le indagini hanno fatto emergere, anche grazie alle convergenti dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, la permeabilità della società Caronte & Tourist Spa rispetto ad infiltrazioni della criminalità organizzata, nonché l’agevolazione garantita dalla medesima società in favore di più soggetti legati alle locali articolazioni di ‘ndrangheta.

Gli esponenti delle cosche

Sempre su richiesta della Dda, infatti, il Tribunale ha disposto il sequestro di beni di Massimo Buda, figlio del boss Santo Buda, esponente apicale dell’omonima cosca federata agli Imerti-Condello.

Con l’operazione «Scilla e Cariddi» sarebbero emersi anche i rapporti tra la Caronte & Tourist e l’imprenditore Domenico Passalacqua, già condannato in via definitiva per associazione mafiosa nel processo Meta.

Entrambi dipendenti del vettore marittimo, Domenico Passalacqua e Massimo Buda, secondo gli inquirenti, erano i portatori degli interessi della ‘ndrangheta,
agevolati da Caronte & Tourist Spa. In particolare si tratta di interessi economici legati alle imprese, riconducibili ai due soggetti, che si occupano di vari servizi all’interno delle navi che fanno la spola tra le coste siciliane e quelle calabresi. In sostanza Buda e Passalacqua avrebbero potuto gestire, ricavandone ingenti profitti, i servizi di bar-ristorazione e quelli di pulizia e disinfestazione a bordo delle imbarcazioni, nonché i servizi di prenotazione per gli autotrasportatori che si imbarcano sui traghetti del Gruppo Caronte & Tourist.

Le cosche avrebbero gestito anche l’assunzione di personale al quale era garantita la retribuzione anche durante la latitanza o la detenzione. Da mero lavoratore nel piazzale, Massimo Buda sarebbe stato la “longa manus” di suo padre Santo condannato a 14 anni e 8 mesi di carcere nel processo “Sansone” che si è concluso da poco in Appello. Per questo ha avuto una brillante progressione in carriera e a lui era affidato il compito di gestire le nuove assunzioni e la risoluzione delle controversie tra dipendenti o con i fornitori.

Con il provvedimento di amministrazione giudiziaria, la Dda ha inteso bonificare e impermeabilizzare la struttura aziendale dal rischio di future ed ulteriori contaminazioni criminali ed interferenze mafiose.

La compagnia di navigazione oltre a valere 500 milioni di euro, ha un capitale sociale di 2.374.310 euro e vanta numerose partecipazioni in altre società, insieme alle quali svolge, in massima parte, servizi di navigazione non solo sullo stretto di Messina, ma anche in ulteriori tratte tra la Sicilia e altre destinazioni.

A Massimo Buda, infine, sono stati sequestrati beni per circa 800mila euro. Oltre a diverse disponibilità finanziarie, la Dia ha applicato i sigilli a due ditte individuali, 5 appezzamenti di terreno di cui uno edificabile, 2 appartamenti e un garage a Villa San Giovanni, un appartamento con box e piccolo vano cantinato nel Comune di Lissone in provincia di Milano.

La ricostruzione dei magistrati

Il procuratore Giovanni Bombardieri ha spiegato: «Mi preme sottolineare che la misura dell’amministrazione giudiziaria presuppone che il titolare dell’azienda sia terza rispetto ai soggetti pericolosi. Non si parla di controllo dell’azienda – ha aggiunto -. Ove ci fosse stato un controllo, ben altre sarebbero state le misure da adottare. Qua non stiamo parlando di un sequestro finalizzato alla confisca ma di un’amministrazione giudiziaria svolta nell’interesse della stessa società per consentire di bonificare quelle situazioni che si sono verificate. È evidente che si parla di agevolazione che si è sviluppata con quei servizi che hanno consolidato le cosche di riferimento di determinati soggetti. Il collaboratore di giustizia Cristiano ci dice che c’è stato un patto di non belligeranza con la cosca Bertuca che non si interessava delle vicende della Caronte in quanto sapeva che c’erano i Buda-Imerti».

Il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo ha, invece, affermato: «Quello di oggi è sicuramente tra i più importanti provvedimenti di amministrazione giudiziaria che siano mai stati eseguiti in Italia», ha detto ricordando l’inchiesta “Breakfast” sugli interessi e l’operatività del gruppo Matacena nel settore del traghettamento sullo Stretto di Messina.

«I riferimenti a Matacena – ha proseguito Lombardo – sono molto risalenti nel tempo. Nell’ultimo periodo abbiamo beneficiato del contributo dichiarativo dei pentiti Liuzzo e Cristiano che hanno fornito delle chiavi di lettura importanti su quello che era un rapporto di cui si aveva traccia in indagini precedenti. La nostra attività ritengo debba estendersi per comprendere come opera nel nostro territorio l’indotto mafioso che non è mafia ma spesso e volentieri vive di mafia e beneficia delle sue logiche. Speriamo che quest’esperimento possa servire anche da modello per operazioni simili da svolgere in futuro beneficiando di tutti gli strumenti per noi indispensabili nel contrasto alla ‘ndrangheta».

Infine, il procuratore aggiunto Gaetano Paci ha sottolineato che «le vicende della società che ha gestito il traghettamento sullo Stretto storicamente ha suscitato gli interessi mafiosi, quello che è stato focalizzato con il provvedimento di oggi è che questi interessi mafiosi nel tempo hanno trovato un radicamento attraverso lo sfruttamento delle capacità imprenditoriali della società. Nel fare questo si è tenuto conto del ruolo criminale di questi soggetti».

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