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CAMPO CALABRO (REGGIO CALABRIA) – «I bambini non nascono bulli, ma viene insegnato loro ad esserlo. Non saprei come esprimermi, troppa è la rabbia e la delusione: mio figlio non è neanche padrone di poter fare una passeggiata. È stato preso di mira: abbiamo già cambiato scuola per evitare i continui insulti, ma poi nel suo paese non può fare una passeggiata perché torniamo sempre lì. Non posso non pubblicare questa cattiveria». Una madre di un piccolo bambino campese, tramite i social, ha pubblicato la foto del suo piccolo con un braccio fasciato.

La famiglia, prontamente contattata dal Quotidiano del Sud, preferisce mantenere il riserbo sull’aggressione: «abbiamo fatto quanto c’era da fare», ci dice soltanto il padre del giovanissimo. Il bambino (già preso di mira da anni) sarebbe stato recentemente aggredito da un gruppetto di bulli nel cuore di paese, riportando la peggio all’arto («gli hanno girato il braccio ficcandolo dentro le sbarre della panchina», ha commentato la madre, dichiarando anche di essersi rivolta alle forze dell’ordine).

La notizia ha scosso la piccola comunità in riva allo Stretto e, ieri, ha avuto grande impatto mediatico. «È di queste ore la notizia, già anticipata sui social dalla famiglia, di un nostro piccolo concittadino rimasto vittima del trascendere di relazioni adolescenziali che vanno ben al di là degli infiniti bisticci fra ragazzi che hanno costellato la vita di noi tutti – commenta il primo cittadino di Campo Calabro, Sandro Repaci – Da quel che è stato raccontato, e non ho dubbi che sia la verità, parliamo di un minore che a causa di molestie da parte di altri ragazzi ha subito un danno fisico, ma quel che più conta ha perso la serenità e la spensieratezza del muoversi liberamente in quel perimetro fatto di strade e luoghi che costituiscono il mondo dei giorni della fanciullezza».

«A lui ed alla famiglia va tutto il nostro affetto e sostegno – prosegue – oltre alla scontata disponibilità dei servizi sociali del comune a sostenere entrambi favorendo una rapida soluzione di questo increscioso episodio. Non è il primo segnale di disagio adolescenziale che si verifica, ed i social, ben ancor prima delle opportune necessarie indagini delle forze dell’ordine, amplificano. Alle famiglie, le istituzioni, le agenzie educative, la comunità ecclesiale, la scuola e tutti coloro che agiscono nel profit educativo la cura di vigilare senza sosta e cogliere i segnali precoci intervenendo ciascuno per la propria parte di responsabilità. l’educazione è un gioco di squadra. E una squadra vince solo se è coesa e se ciascuno fa fino in fondo il suo dovere interpretando appieno il proprio ruolo».

Non si è fatta attendere neppure la nota stampa del sindaco metropolitano, Giuseppe Falcomatà. «Un bimbo di 9 anni costretto a cambiare scuola perché vessato da ragazzi più grandi. Aggressioni che continuano anche fuori da scuola, in piazza, in luoghi che soprattutto a quell’età, dovrebbe essere simbolo di divertimento e spensieratezza. L’episodio del piccolo di Campo Calabro infatti non è certamente l’unico del quale abbiamo notizia in questi mesi. Non è un problema di controllo, ma di educazione, nel senso più alto della parola. Su questi aspetti c’è la necessità di interrogarsi, e di farlo insieme, coinvolgendo in primis gli stessi ragazzi, le famiglie, la scuola, le parrocchie, i centri di aggregazione ed anche i titolari dei locali e dei luoghi di ritrovo da loro più frequentati. Perché avviene tutto ciò, da dove nasce il disagio che conduce agli scontri cui assistiamo quotidianamente. Sono aspetti sui quali non è possibile voltarsi dall’altra parte, né immaginare di delegare il tema dell’educazione relegandolo esclusivamente alle famiglie. Per il presente ed il futuro dei nostri bambini possiamo, dobbiamo fare molto di più».

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