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I magistrati Bomnbardieri e Gratteri

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GLI INQUIRENTI calabresi e siciliani, già nel 2014, erano al corrente delle dichiarazioni di Antonio Cataldo, esponente di spicco dell’omonimo clan di Locri, circa un attentato che si stava pianificando contro il figlio di Nicola Gratteri.

Antonio Cataldo, infatti, in quell’anno scrisse una lettera dal carcere dove si trovava, rivelando dettagli che aveva appreso da un compagno di cella, circa un piano ordito dalle cosche reggine per eleminare il figlio di Nicola Gratteri, magistrato che in quel periodo stava per diventare ministro delle Giustizia. La lettera di Cataldo, giunse prima negli uffici della procura di Catanzaro, competente sui magistrati in servizio nel distretto reggino, sia per reati commessi, che per eventuali minacce subite (all’epoca Gratteri era procuratore aggiunto a Reggio Calabria) e poi fu inoltrata alla procura di Messina, dove era domiciliato il figlio di Gratteri oggetto delle gravi rivelazioni, per gli accertamenti da svolgere e le iniziative a tutela da intraprendere.

Cataldo, nipote di due boss indiscussi della ndrina locrese, nell’occasione fu poi sentito dagli investigatori, ma non intese rilasciare dichiarazioni su altre circostanze a sua conoscenza, non si dimostrava quindi intenzionato a “pentirsi”. Rimase agli atti solo il racconto sull’attentato che si sarebbe voluto organizzare contro il figlio del noto pm antimafia, circostanza che Cataldo avrebbe appreso in carcere, da altro detenuto “uno dei Cordì” altra temibile ndrina di Locri.

Passano gli anni e lo scorso mese di giugno, a seguito di una sentenza di condanna subita, Antonio Cataldo ha deciso di non essere più un semplice “informatore” occasionale delle forze dell’ordine, ma di diventare un collaboratore di giustizia a tutti gli effetti.

Ha cominciato così il percorso di collaborazione con i magistrati riferendo tutta una serie di fatti relativi alle cosche della Locride ed ha contestualmente confermato ciò che aveva scritto, sette anni fa, nella summenzionata lettera. I verbali del neo-collaboratore di Giustizia sono stati, quindi, utilizzati e resi pubblici dalla Dda di Reggio Calabria, l’altro giorno, in un processo e saranno utilizzati pure in indagini ancora in fase preliminare e coperte da segreto.

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