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REGGIO CALABRIA – «Se la mafia non viene estirpata il futuro diventa difficile perché continueranno sempre ad esserci dei nemici da eliminare». Parla di futuro nel giorno in cui la sua esperienza pastorale diventa il passato per Reggio Calabria. C’era tanta gente in cattedrale a salutare l’arcivescovo Vittorio Mondello che si commiatava dalla cattedra episcopale. E alcuni dei presenti non erano ancora nati nel 1990, quando si insediò sulla sponda calabrese dello Stretto il presule che lunedì passerà le consegne a Giuseppe Fiorini Morosini: era l’anno in cui si sgretolava l’Unione sovietica e Maradona perdeva i mondiali in Italia con l’Argentina. 

«Non siamo qui per celebrare la mia persona, il mio ministero, il mio episcopato» ha detto l’arcivescovo e presidente della Conferenza episcopale calabra durante l’omelia, aggiungendo: «Guai a noi se dovessimo fermarci a fare paragoni tra il vescovo che lascia e quello che arriva». Del suo lungo ministero poi rivendica di aver sempre cercato «di suscitare in tutti coloro che ricoprono incarichi di responsabilità il desiderio della santità», perché «anche i politici, i magistrati, gli amministratori della cosa pubblica e gli operatori delle forze dell’ordine possono diventare santi, non è un miraggio».

Il primo ostacolo da sconfiggere, però, Mondello lo indica nella mafia, indicata come «realtà che vuole rubarci il futuro e che si accontenta di vivere sfruttando, anzi erodendo, il presente». L’arcivescovo parla della ‘ndrangheta, in particolare, come di un «tarlo» che tenta di inghiottire le speranze: «Tanti tentativi di impresa, di ripresa falliscono perché “bloccati”, “smorzati” sul nascere. La mafia fa false promesse, è l’antiuomo che lascia le cose incompiute e spezza vite illudendo con le lusinghe del potere, del denaro e del successo salvo poi distruggere invece che realizzare. È l’antiumanità dove vige la regola secondo cui un uomo può essere migliore, più potente o più ricco soltanto a spese di un altro uomo». 

La risposta della comunità civile, afferma l’arcivescovo nel congedarsi, deve essere la promozione della «cultura della vita»: «Davanti alla morte – sottolinea – non può prevalere la rassegnazione». E in questo, però, Mondello ricorda che è la Chiesa che «deve dare l’esempio». Nelle parole del presule, ci riuscirà solo sarà in gradi di «sconfiggere i nemici che, dal di dentro, le impediscono di risplendere nel mondo della stessa luce di Cristo». Non fa riferimenti a contesti o episodi particolari, Mondello, ma cità «carrierismi e primogeniture»: sono questi che le impediscono di essere «comunità unita» al servizio della crescita della comunità. Ma da lunedì, questo sarà un problema di Morosini.

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