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Checco Zalone con Amadeus a Sanremo

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DOPO le polemiche su “La Sposa”, la miniserie televisiva diretta da Giacomo Campiotti, si ritorna a parlare di Calabria grazie a Checco Zalone che sul palco dell’Ariston, ha raccontato una singolare favola dove i panni della moderna Cenerentola venivano vestiti da un trans brasiliano e il principe che si innamorava di lei, si opponeva a un padre che di giorno si mostrava moralista e omofobo mentre di notte si concedeva i peccati più sfrenati.

Il comico pugliese, com’era prevedibile, ha suscitato numerose polemiche che vanno dalle critiche per il dialetto “misto”, non collocabile, quindi, in una precisa area geografica, alle presunte offese alle donne per via dei peli, e di conseguenza a un popolo intero che un po’ permaloso, diciamocelo, lo è per natura.

E neanche la satira sociale con la quale ha affrontato il tema dell’omofobia, mettendo in evidenza le palesi contraddizioni dei perbenisti, è riuscita a placare gli animi. Con chi parlare di tutto questo se non con l’ex presidente facente funzioni della Regione Calabria Antonino Spirlì?

«Trovo esasperati i toni della polemica nei confronti di Checco Zelone che a Sanremo avrebbe offeso sia la Calabria che i calabresi – dice – leggerei con maggiore autoironia il suo intervento visto che essendo figli sia dei greci che dei latini, sia la tragedia che la commedia dovrebbero appartenerci. Qualcosa però credo di doverla dire al riguardo: la direzione artistica del Festival di Sanremo dovrebbe fare delle valutazioni su cosa possa essere messo in ridicolo dall’umorista di turno e cosa no. Perché se si può deridere un popolo antico come quello calabrese e lo stesso popolo non se la deve prendere, allo stesso modo ritengo che l’attrice italo africana Lorena Cesarini, non possa atteggiarsi a moralizzatrice per quindici, venti minuti su fatti non provati se non credendo ciecamente a ciò che dice lei. Se anche ci sono stati attacchi violenti e razzisti da parte di una minoranza, questo non significa che si possono occupare venti minuti di eurovisione per generalizzare sull’atteggiamento di un popolo. O impariamo a sorridere della stupidità altrui in tutti i casi o decidiamo prima quello che non si deve toccare».

Spirlì spiega di essersi sentito molto più offeso come cristiano, dalla performance di Achille Lauro che con il suo battesimo a fine esibizione, «deride un miliardo e mezzo di cristiani” con un gesto inutile che non fa parte della gara canora e che riveste un significato enorme. «Ecco – spiega – questo è un atto penoso e mi stupisce molto la leggerezza della direzione artistica che lo ha consentito. Si crei una regola che valga per tutti. Se non dobbiamo ridicolizzare Maometto e l’Islam, non lo facciamo neppure con la religione cattolica che affonda le sue radici in questa vecchia Europa e che rappresenta buona parte della sua storia contemporanea».

Resta un ultimo punto da affrontare, quello dell’omosessualità e dell’omofobia, che Zalone ha proposto a suo modo inviando, però, un messaggio che è inequivocabile. «In Calabria – conclude Spirlì – sì, c’è qualche leggerezza nelle strade dei nostri paesi, ma io da omosessuale dichiarato, senza necessità di orgogli e di cortei, non ho mai, e sottolineo mai, riscontrato atteggiamenti omofobi. Vorrei ricordare che la Calabria al pari di altre due regioni del sud, la Puglia e la Sicilia, ha avuto tre governatori dichiaratamente omosessuali, quindi anche questa inutile premura ad andare a sottolineare quello che funziona o non funziona in Calabria, la trovo esagerata. Anche i peli delle donne del sud fanno parte di un retaggio del passato nel quale i peli erano evidenti anche nell’Emilia Romagna, in Lombardia e nel Piemonte. Diciamo che i peli erano sparsi un pò da tutte le parti. Vorrei sorridere delle battute di Checco Zalone che “in nomen omen” fa rima con volgarone, cafone. Bisogna però riconoscergli anche una grande capacità di creare satira sociale e politica, e questo è più importante di tutto il resto».

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