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Santo Gioffrè firma il libro di racconti “Evasioni d’Amore”. La Calabria contadina e affamata, vista con gli occhi di chi l’ha vissuta. Dove ci si poteva perfino innamorare


GRAZIE alla vita, anche se può essere spaventosa. Santo Gioffrè firma il libro di racconti “Evasioni d’amore” (Castelvecchi) in un tuffo nel passato più o meno remoto. Gioffrè è una curiosa figura di erudito: ginecologo da poco in pensione, scrittore, politico: in un ordine che lui cambia ogni giorno. Potete trovarlo all’ultima manifestazione contro l’autonomia differenziata, in empatico ascolto delle paesane/pazienti, oppure al pc. Non penso infatti che usi ancora l’Olivetti 32 (anche se sarebbe in tema con il libro che ha fatto) perché la sua forma di scrittura è veloce, debordante, curiosa e non potrebbe mai bloccarsi per il cambio dei fogli. Ma l’autore è anche un inesauribile coltivatore di relazioni internazionali, lui non credente: dall’arcivescovo di Aleppo, poi ucciso dall’Isis, al Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, complice la chiesa ortodossa che Gioffrè ha fatto costruire in un terreno di sua proprietà.

E l’uso moderno che fa di Facebook ne fa un influencer settantenne che va oltre la Piana e Seminara, l’amato paese che ha sempre studiato, partendo dai documenti delle sacrestie e dalle biblioteche dei signori: appassionato di storia, ama rovistare nelle carte antiche. Il suo “Artemisia Sanchez” scoperto da un dirigente Rai in una bancarella di libri usati di Roma, diventò una serie tv con la partecipazione di Lucio Dalla, vescovo e cardinale nella fiction, amico rimpianto nella realtà e ora protagonista di uno di questi racconti, dove è facile specchiarsi.

È infatti amore per la storia la ricostruzione del legame tragico fra la nobile Anna Maria Spinelli e il musicista Giovan Battista Pergolesi, con la giovane principessa, fin lì distratta e assente, che inizia ad incuriosirsi: quell’uomo – seppur più grande – riesce a farla emozionare, procurandole poi “una gioia infinita”. Ed è amore per il borgo natìo la ricostruzione della vita della famiglia, un albero genealogico costellato di lutti dei più poveri, dei morti bambini fuori da ogni statistica, dei ragazzi lasciati soli “muti camminatori su scivolose pietraie”. Di carezze del padre che Gioffrè ancora ricorda per la durezza della mano “facce nere e mani callose” come in certe canzoni operaie del primo Novecento. Mani che però sono “fiori d’arancio” in una lettera della moglie. I genitori che si conoscono davanti a un braciere, durante una tempesta. La guerra ingiusta e feroce, le donne con la fame d’aria per i mariti al fronte. I paesi che si svuotano, gli agrari che ingaggiano i primi mafiosi. Attraverso il racconto personale, il dottore-politico fa luce su un pezzo di storia rimossa: quando eravamo niente se non l’orgoglio. Con parole-chiave che evocano stragi: Caporetto, La Spagnola, la tubercolosi. Con i figli che non tornano a casa. E se tornano, non trovano i fratelli, i genitori.

Ed è quasi un miracolo che da queste famiglie ferite a morte nascano poi dei grandi amori, il lavoro e una società produttiva, che i figli vadano alla fine a studiare all’Università di Messina, che facciano politica. Non è una vita facile nemmeno per Santo bambino, con una madre in depressione post-parto costretta all’elettroshock, fino al miracolo delle medicine e degli ansiolitici, che le permetteranno una vita tutto sommato serena fino ai novanta anni. “Ma le sue periodiche crisi – scrive l’autore – mi accompagnano ancora e per sempre”. Ma il Santo piccolo è un adolescente a piedi nudi che si perde nella chiesa di Santa Maria dei Miracoli nascosta nelle campagne, e si addormenta felice sul pavimento.

Gli animali qui sono come gli umani. Sono l’unico patrimonio, vivono in simbiosi con i loro proprietari, dormono negli stessi ambienti. Il randagio, come dice Lucio Dalla, è “l’essere più libero del mondo”. E altri cani, vacche, capre fanno capolino nei racconti, condìti dalle inevitabili storie di paese. I figli illegittimi – ditemi chi non ha mai ascoltato storie del genere dai genitori – che somigliano inesorabilmente ai padri. E qui è ancora Lucio Dalla che racconta: “Il Fato è vendicativo. Io stesso ho conosciuto molti figli che si portavano appresso le stesse sembianze del loro genitore”. Proprio lui, che era cresciuto solo con la madre.

Sono immagini più vere del vero. Con storie nobili e ignobili, un mondo sottosopra. L’ufficiale tedesco che salva il bambino dalla malaria, la ferocia ultra-centenaria dei fratelli maggiori nei confronti delle sorelle. Le donne spesso ridotte a preda, merce di scambio, vedove prima ancora di sposarsi, madri a quindici anni e nonne a trenta, con il giorno della liberazione che spesso coincide con la morte. Le storie atroci delle violenze in famiglia.

E poi i picciotti e i capisgarristi che conoscono solo la lingua del coltello. Il boss che va al confino a Ponza e garantisce l’incolumità dei politici, un affiliato che diventa socialista o comunista, una storia da approfondire.

Un libro perfino consolatorio: abbiamo certo una montagna di problemi, ma i diritti delle donne non sono in discussione, anche se sotto attacco. Quando Mommo Tripodi partiva da Polistena per andare a difendere le gelsominaie della Jonica, trovava i guardiani dei latifondisti con le armi spianate. Non è più così, anche se il lavoro manca o è mal pagato.

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