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Marco Travaglio

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Marco Travaglio, a Reggio Calabria con “I migliori danni della nostra vita”, in teatro racconta in satira gli ultimi 5 anni di storia italiana


REGGIO CALABRIA – Domenica 4 febbraio 2024, alle ore 21.00, il Teatro Cilea di Reggio Calabria ospiterà il giornalista, saggista e opinionista Marco Travaglio in tour con la seconda stagione di “I migliori danni della nostra vita”. Si tratta di uno spettacolo che racconta, nel consueto stile satirico del direttore de il Fatto Quotidiano, gli ultimi cinque anni di storia italiana. L’abbiamo intervistato per farci raccontare la sua visione del rapporto tra teatro e giornalismo.

Se volesse descrivere con grandi sintesi i nostri tempi, quale espressione sceglierebbe?

«Quella che dà il titolo allo spettacolo: I migliori danni!»

Quali sono stati, secondo lei, i migliori danni prodotti in questi ultimi anni?

«Il maggiore danno è rappresentato dal fatto che si sono voluti spegnere completamente tutti i desideri di cambiamento che gli italiani avevano espresso in tante elezioni. Sono anni che gli italiani votano per quella che gli sembra la novità del momento. Poi magari, anzi sicuramente, quando pensano che Salvini, Meloni, o Renzi siano la novità si sbagliano, però per quello li votano… Ed ecco che regolarmente si ritrovano con delle operazioni di palazzo che neutralizzano il voto dei cittadini, perché vengono organizzate ammucchiate tecniche o politiche come quella di Monti, come quella di Letta, o come quella di Draghi, finalizzate a far capire alla gente che il suo voto non conta nulla. E poi naturalmente tutti a stupirsi perché ad ogni elezione va meno gente a votare. Ma se convinci gli italiani che il loro voto non conta nulla, questo è l’effetto.
Se si trova sempre il modo di cambiare i politici che volevano il cambiamento oppure di buttarli fuori, come è successo con Conte due volte, è chiaro che i cittadini capiscono che il loro voto non conta e quindi non lo danno neppure più».

Qual è stata, secondo lei, la più grande bugia che è stata raccontata agli italiani?

«Sono tante le bugie… La più grossa è che il problema del mondo sia il “populismo”, questa parola che è stata inventata per indicare chiunque voglia cambiare le cose. Chiunque voglia cambiare qualcosa è populista. In realtà chi vuole cambiare le cose non è populista ma popolare, perché la gente vuole che le cose cambino. La gente non è populista. La gente vuole un altro sistema, che non sia basato sul privilegio dei potenti, che non destini il denaro pubblico ai ricchi e ai ladri, ma lo destini alle persone bisognose o meritevoli, che non costringa più la gente ad andare altrove per fare ricerca, o per trovare un lavoro, o per costruire un futuro. Il populismo non esiste per come ce lo raccontano. Così come non esiste il sovranismo!
Consideriamo che la Meloni viene considerata oggi fascista, sovranista e nazionalista eppure hanno appena votato una norma che praticamente distrugge lo stato unitario, la nazione di cui parlano. Una norma che spappolerà la “nazione” in venti regioni peggio che autonome. Saranno “indipendenti” nel senso che faranno come cavolo gli pare con ovviamente privilegi per le più ricche, o meglio per quelle che sono già oggi più ricche. Sono tutti paroloni che vengono utilizzati per non far capire le cose alla gente, la quale però le ha capite benissimo, credo».

MARCO TRAVAGLIO, A REGGIO CALABRIA, PORTA A TEATRO SATIRA E GIORNALISMO

Che rapporto c’è tra giornalismo e teatro? Come fa un’inchiesta giornalistica a diventare uno spettacolo teatrale?

«Il mio non è uno spettacolo ma un recital. Io faccio a teatro quello che faccio sul giornale e in televisione, cioè racconto. Spiego. Analizzo. Non c’è nulla di “spettacolare”. Non mi metto a recitare, a cantare o a ballare (ride ndr). Sto seduto su un trespolo, con un leggio e racconto delle cose. È chiaro che quando scrivi sul giornale chi il giorno dopo ti legge non è lì, presente, mentre scrivi. Quindi non puoi vedere la sua reazione. Quando sei in televisione, al di là dello schermo ci sono centinaia di migliaia di persone ma tu non le vedi. Non le senti respirare. Non ti puoi accorgere delle loro reazioni. Il teatro è l’unico luogo dove puoi fare informazione e sentire immediatamente la reazione».

La stranisce questa cosa? È un modo diverso di fare giornalismo?

«All’inizio mi straniva, adesso ci sono abituato. Ne colgo anche i vantaggi. Per chi fa il nostro lavoro confrontarsi live, in presenza, con il pubblico, con i nostri lettori, che in quel momento sono ascoltatori e spettatori è molto utile perché capisci all’instante, proprio dal respiro della platea, quando stai parlando di cose che gli interessano e quando stai parlando di cose che interessano solo a te.
Io penso che il principale problema dei giornali non siano i social, o la chiusura delle edicole, o il crollo della pubblicità, che sono comunque grossi problemi. Il problema principale è che i giornali sono scritti da giornalisti che non sanno neppure chi sono i loro lettori, non sanno cosa vogliono sentire i loro lettori, non sanno le cose che interessano ai lettori perché non li conoscono. Se ne stanno chiusi in redazione, parlano solo con i loro editori o con i loro colleghi, finendo per scrivere solo per i loro stessi colleghi.
Ci sono giornali scritti da giornalisti per giornalisti. Quando qualcuno ci si avvicina ha l’impressione che quel prodotto non sia fatto per lui perché non c’è più nessuno tipo di rapporto tra il lettore e i giornalisti. È un vizio abbastanza generalizzato. Questa è una delle ragioni per cui sono in pochi quelli che compiono quel gesto eroico di andare in edicola e comprare il giornale. Non ne sentono il bisogno perché molti, molti, molti di noi non fanno i giornali per i lettori e i lettori se ne accorgano. Quindi andare a sentire dal vivo quali sono le cose che interessano la gente, qual è il linguaggio che devi usare per arrivare alle persone è fondamentale per cercare di fare un’informazione che interessi il pubblico.
Noi esistiamo perché esistono i lettori, altrimenti non ci sarebbe motivo di esistere. Il teatro è il luogo migliore per misurare la reazione immediata delle persone che ti ascoltano. Poi c’è il fattore tempo, che è un’altra delle ragioni per cui spesso l’informazione è superficiale. Il giornale ha uno spazio delimitato e i tempi di lettura delle persone sono sempre più brevi, anche a causa dei social che ti illudono che sia possibile riuscire ad afferrare in pochi minuti problemi estremamente complessi. La televisione invece ha tempi contingentati: puoi dire una frase, due frasi e devi concentrare tutto lì perché poi il tempo finisce, ammesso che ti lascino parlare e nessuno ti interrompa».

Il teatro invece ha altri tempi e meccanismi narrativi diversi.

«A teatro nessuno ti interrompe. Hai due ore tue e puoi cercare di sviscerare i problemi complessi con il tempo necessario, senza essere superficiale, ma cercando di essere un po’ approfondito. Il teatro è un posto magico per chi fa il nostro lavoro».

MARCO TRAVAGLIO A REGGIO: «IN CALABRIA NON SOLO IN TEATRO MA ANCHE IN VACANZA»

Il suo rapporto con la Calabria?

«Ci sono venuto molto spesso e ogni volta che ci torno sono molto contento. Ho fatto tantissimi incontri in Calabria, ma sono venuto anche per vacanza. Mi piace molto e sono contento soprattutto di incontrare tanta gente a teatro perché è un segno di grande civiltà quello di frequentarlo, così come è un segno di civiltà frequentare le edicole…»

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