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NULLA possono dire se messi ai lavori forzati nelle fabbriche d’Oriente per l’Occidente, se messi a scavare a mani nude in miniera, se chiusi in un orfanotrofio senza diritto di replica e senza diritto a una famiglia, se reclusi nei campi profughi, se persi ai confini di qualche terra promessa mai raggiunta. Nulla possono decidere se nel paese dove sono nati non si può neanche più sopravvivere, salvo poi annegare nei mari in tempesta se partiti con i loro genitori o crepare tra la neve e le sterpaglie che mangiano mani e piedi lungo gelide frontiere di paesi inospitali e feroci, Italia compresa.

E’ un mondo cieco e sordo questo, dove i bambini non hanno più voce. Volteggiando a caso, immaginando di comandare un drone, passiamo dalla Svezia, sopra quei 169 ragazzini siriani addormentati come statue di pietra. Gli scienziati inseguono un perché, ma è, per loro, un divertissement. Sanno benissimo che la depressione anestetizza, e fingono ricerche.

Molti di questi bambini addormentati, alcuni in coma, sono nati nella guerra, conoscono il mondo soltanto con quella faccia, per esempio tra le macerie di un quartiere di Aleppo o di Damasco, di altre cittadine e territori della Siria, e da più grandicelli hanno dovuto guadagnare nei pochi momenti di tregua il portone della scuola correndo, nel timore delle bombe-barile lanciate dagli elicotteri del dittatore al-Assad contro i ribelli. Dormono, perché hanno conosciuto soltanto orrore. E poi dopo l’odissea, anche la vergogna di quel “no” grande quanto la crudeltà dell’uomo alla richiesta d’asilo per le rispettive famiglie rifugiatesi in quel paese. Dormire, perciò, era l’unica soluzione.

Vertiginosamente a sud, dall’altra parte di questo mondo in fiamme: avendo ancora un briciolo di forze erano scesi giorni fa decine di ragazzini a manifestare per le strade di Beni, nel Nord-Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, quella dove hanno ammazzato il nostro ambasciatore Luca Attanasio, devastata da decenni di guerre e violenze. Protestavano questi bimbi in divisa bianca e blu perché stanchi di vedere trucidati i genitori, stanchi di restare orfani e senza più una casa. Imploravano con forza la pace, pensate un po’ che coraggio, che esempio per tutti, anche per noi, un gruppo di ragazzini africani in sit-in per dire basta. Meriterebbero un Nobel, invece sessantanove di essi sono stati arrestati, tutti tra i 9 e 17 anni, anche bambine, con le accuse di accattonaggio e disturbo della quiete pubblica.

Non ne parla nessuno, perché i bambini non hanno diritto nemmeno a una degna informazione. Casi estremi, ma nemmeno tanto: i bambini stanno all’ultimo posto, anche da noi. Non possono scendere in piazza, non possono alzare la voce. Non possono scegliere tra Dad e presenza, né di starsene un giorno senza quell’Himalaya di compiti a casa e vivere, respirare soltanto. E poi liberi, maestri come sono di questa arte dimenticata, di sognare. Nulla possono, i bambini.

Inutile nasconderci: li abbiamo dimenticati, abbiamo dimenticato la loro voce. Mollati indietro già da decenni, abbiamo infiocchettato l’opera nel tempo della pandemia, quando tutti rivendicano diritti (oltraggiando quelli degli altri) tralasciando, e in ogni angolo del mondo, un concetto sostanziale: erano, sono le voci migliori, la migliore umanità possibile su questo pianeta. L’unica della quale avremmo dovuto e potuto fidarci, consegnandole speranze e sogni sulla ricostruzione di un mondo non a misura d’uomo, perché non ne siamo affatto i padroni bensì gli ospiti, ma a misura di bellezza e attenzione per ogni virgola che sopra vi sta e vive.

I migliori messi a tacere, uccisi finanche, e da guerre che non sono le loro (pensiamo soltanto alle ultime piccole vittime del conflitto tra israeliani e palestinesi, o a quei cinquemila piccoli separati dai genitori a causa della guerra nel Tigray di cui pochissimo, o nulla, si parla). I peggiori considerati invece come degni di nota e di informazioni della sera, quei “quattro” imbroglioni da nord a sud del globo, imbecilli vestiti bene che indisturbati giocano a biliardo, mai sfacciati come adesso forse, con le teste e i destini di tutti e di fronte ai più piccoli, passati da preziosi esseri da difendere a spettatori inermi di un assalto senza precedenti alla pace e a una convivenza finalmente evoluta senza razzismi, barriere, sviluppo e arricchimento economico e culturale diseguali, quella che i grandi della storia avevano sognato, e testimoni di quell’indecente spettacolo che è la Grande Sciatteria sentimentale di questo tempo.

In un groviglio di falsità e pressapochismo, la meglio gioventù della Terra è costretta così ad arrangiarsi, a subire le spillonate di un volgare rito vodoo planetario che si spinge arrogante fin dentro le nostre case. Dove facciamo sempre più fatica a giocare con loro, parlare, contare con essi i petali di quella margherita in giardino, indicargli la luna, rispondere alle loro domande. Del resto sempre meno frequenti. Chiediamoci perché.

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