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Il vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea, Luigi Renzo

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MILETO (VIBO VALENTIA) – È un Natale anomalo quello che si sta avvicinando tanto che lo stesso vescovo della diocesi di MIletono-Nicotera-Tropea, Luigi Renzo, nel suo messaggio ai fedeli esordisce confessando di aver nutrito il «dubbio se scrivervi il Messaggio natalizio, vista l’impossibilità a consegnarlo di presenza a causa della pandemia del coronavirus».

Tuttavia, pur se anomalo, Natale è sempre Natale e quindi il presule ha deciso di non sospendere il suo tradizionale messaggio convincendosi «della sua opportunità soprattutto per non lasciare sotto silenzio i tanti eventi che stiamo vivendo, non esclusi naturalmente i condizionamenti umani e pastorali provocati dalla pandemia».

In special modo, comunque, il pastore della diocesi fa riferimento «alla conclusione del Sinodo Diocesano, del quale stiamo predisponendo la pubblicazione degli Atti, ed al dono che Papa Francesco ci ha fatto dell’Enciclica “Fratelli tutti”».

Dopo i miglioramenti estivi «la pandemia del covid-19 ha ripreso incurante la sua invadenza al punto che ci ha costretto a fare qualche passo indietro rispetto alle aperture che c’erano state nel periodo estivo. E se questo sta provocando in tutti un’alternanza di sentimenti tra pessimismo e speranza, alla luce della fede, dobbiamo riconoscere che sta anche aiutando a capire come gli avvenimenti della vita passano attraverso il filtro del “mistero pasquale”, che culmina sempre e comunque nell’esperienza della Risurrezione».

Citando il beato don Francesco Mottola, il vescovo ricorda come «anche quando sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano a rifiorire i germogli della risurrezione. Pur con i suoi effetti diventati per noi ancora più preoccupanti in questa seconda fase a causa della crescita notevole dei contagi, dobbiamo riconoscere che la pandemia ci sta offrendo messaggi forti e chiari che evidenziano come tante cose nella nostra vita non vanno per nulla bene».

Renzo, ad esempio, evidenzia la necessità di «riprogettare il nostro rapporto con la natura ed il creato, come occorre rimodulare i rapporti tra di noi rilanciando con coraggio la solidarietà e la fraternità, senza dimenticare anche i nostri stili pastorali e formativi. È giunto il tempo di aprire gli occhi per tentare di uscire dal tunnel in cui siamo finiti».

Ed è in questo quadro che si inserisce l’Enciclica Fratelli tutti di papa Francesco con «un impegno di umanizzazione dei rapporti a tutti i livelli per non cedere al veleno della cultura dell’indifferenza e dello scarto, una pandemia ancora più grave e distruttiva dello stesso coronavirus».

Emblematica la circostanza che «il Pontefice abbia firmato l’Enciclica sulla tomba di S. Francesco d’Assisi e che nel titolo abbia preso spunto dalla sesta delle ammonizioni dell’assisiate: “Guardiamo, fratelli tutti, il buon Pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce”».

Anche e soprattutto in questo clima diverso «per noi cristiani non può prescindere dal riferimento alla croce. È proprio dall’alto della croce che passa e risorge l’umanità nuova purificata ed irrorata dalla fraternità. Contemplare il Bambino tra le braccia della Vergine Madre offre, pertanto, a ciascuno di noi l’occasione per fare, come esortava don Mottola su Parva Favilla del luglio 1966 (p. 3), “il vuoto per il Signore. Il vuoto. Una ascoltazione profonda. E Dio ci darà un “nome nuovo” (Ap. 2,17)”, il nome nuovo che sarà frutto di un Natale di fraternità interiormente ritrovata e goduta».

Ricordando la genesi del termine fraternità, il presule rileva come «la fraternità non promana solo da un rapporto di sangue, ma crea tra le persone una ricercata relazione di crescita e di reciproco sostentamento esistenziale. Si capisce allora come mai Pietro arrivi a raccomandare a tutti i battezzati non solo di vivere, ma di amare la fraternità come espressione stessa della comunione con Cristo e con gli altri: “Onorate tutti, amate la fraternità, temete Dio” (I Pt. 2,17)».

Citando di nuovo papa Francesco, ma anche San Francesco d’Assisi, il vescovo Renzo ribadisce che «l’esortazione di papa Francesco, a partire da questo tempo di pandemia, ci può consentire anche di ricuperare quella “calabresità”, che in qualche modo è affiorata forte nella solidarietà e nella vicinanza al prossimo dei mesi scorsi di lockdown e che non dovrà scomparire col virus. Anzi proprio la pandemia della “calabresità”, del cuore aperto a tutti, deve riprendere forza per scombinare e sconfiggere quegli stili di vita e quei comportamenti incoerenti, che deturpano la nostra vera immagine, facendo di noi davanti al mondo quasi il simbolo del lassismo, della illegalità e della irresponsabilità collettiva, a discapito di condizioni di vita più congeniali ad un contesto sociale di fraternità e di amore vicendevole».

In conclusione, l’auspicio del vescovo è che «davanti alla grotta del nostro Presepe di casa, nel contemplare in silenzio il Bambino Gesù, accogliamo la sfida di costruire un “mondo d’amore”, come recitava una vecchia canzone, e di fraternità universale. È il dono più bello che possiamo depositare ai piedi del Bambinello ed è il dono più importante che noi stessi possiamo scambiarci unitamente agli Auguri di un Santo Natale di fraternità. Proviamo a “perderci nell’Infinito”, come ci esorta ancora il beato don Mottola. E quando saremo perduti in Lui, sboccerà e splenderà nel cuore di ognuno l’Amore, anima e linfa della Fraternità».

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