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L’argomento è un terreno minato, ad altissimo rischio di lese maestà e ostracismi nel cerchio magico attorno ai nomi che contano. È l’editoria, bellezza, e dalla Calabria fucina di scrittori veri e presunti fino alla Roma caput mundi della Repubblica delle Lettere, tante cose si pensano ma non si possono dire.

Ovviamente tranne che sui social, dove i premi letterari e le manifestazioni blasonate scatenano roventi battaglie di hater che neanche il Covid, Putin e l’Eurovision. Non è un male che si parli, e anche in modo critico, di libri, anzi ben venga. Soprattutto se, al netto della prevedibile quota di shitstorming, talvolta qualcuno estraneo all’agorà (e che quindi non teme di essere additato come rosicone) si azzarda a dire l’indicibile.

Per esempio, che gli autori presenti al 34esimo Salone del libro di Torino senza editore siano stati un po’ tanti e che l’aver accettato chiunque disposto a pagare il suo posticino ha penalizzato gli editori; e poi che l’invasione di editori a pagamento di ogni foggia con i loro altrettanto variopinti autori abbia tolto spazio agli editori veri. In casi del genere non conviene fare nomi e cognomi, e non sarebbe nemmeno giusto perché si tratterebbe di sparare sulla Croce Rossa: le stroncature devono avere ben altri bersagli che gente tutto sommato ingenua, alla ricerca del warholiano quarto d’ora di celebrità pagato di tasca propria e abbastanza salato (tariffa per esporre un solo titolo in massimo 30 copie, 420 euro).

Di certo il trend topic del Salone, tra meme e divertite battutine nel gruppo degli scrittori fieramente renitenti (o esclusi?) è stato che a questo giro ci sono andati davvero tutti, foss’anche con le chat scritte durante la quarantena e poi pubblicate – perché, dài, in fondo rientra nell’autofiction. Nell’arioso stand della Regione Calabria ma anche in autonomia, i nostri autori a Torino sono stati numerosi e per fortuna nessuno di loro era un improvvisato (citiamo Vito Teti, Gioacchino Criaco, Domenico Dara, Carmine Abate).

Protagonisti di dibattiti interessanti, ma al Salone si va pure per vendere, giusto? E una delle debolezze della manifestazione torinese è stata quella di aver imposto un biglietto d’ingresso non supereconomico (18 euro il giornaliero), che ha fatto da deterrente soprattutto per i lettori fuori sede intenzionati a fare una gita culturale: tra costo del viaggio, alloggio e accesso nel mondo dei “Cuori Selvaggi” dell’evento, l’unica cosa su cui si è tirata la cinghia alla fine è stata l’acquisto dei libri.

A proposito di Salone, attuale direttore è Nicola Lagioia (e qui mettiamo un asterisco), un soggetto di cui parlare con cautela nella comunità letteraria. Tanto ha osato il romanziere Mimmo Gangemi, che su Facebook ha commentato la vittoria di Lagioia al Premio Sila ’49 con parole che toccano un tasto dolente per i calabresi, quello dell’atavico complesso d’inferiorità nei confronti dei forestieri.

Esordisce senza eufemismi, Gangemi: «Il premio Sila non si smentisce, mai una volta che si assegni a un calabrese, a causa di un pensiero contorto, sempre alla rovescia, che discrimina i locali, quasi che, a farlo rimanere nella regione, vi si possa vedere un imbroglio, una diminuzione. Siamo colonia pure in questo campo, insomma, facciamo vincere gli altri anche quando i nostri sono migliori, come non succede altrove in Italia».

E prosegue impavido citando un altro nome “reverenziale”: «Emanuele Trevi, che è la voce dominante all’interno della giuria e riesce a spuntarla su intellettuali di peso che ne fanno parte (penso a Veltri o alla Petrusewicz), forse dovrebbe rammentare che lui, lo Strega, lo ha vinto con “Due vite”, un romanzo di grande mediocrità, perché nel suo caso valgono le cordate e non i meriti letterari». Diretto e severissimo. Affermare che “Due vite” sia un romanzo mediocre è molto ingeneroso, ma nell’arte ogni opinione è sacra. Il vero pungiglione, però, arriva dopo.

«La speranza – conclude Gangemi – è che al nostro Trevi non sia tornato utile lisciare o ricambiare Nicola Lagioia, un personaggio di grande autorevolezza e potere nel mondo letterario. Intanto, registro l’anomalia che dura da anni e che non succede nel resto d’Italia». Ne sa qualcosa proprio lo scrittore di Santa Cristina d’Aspromonte (che non era tra i candidati del Sila), ricordando come «anni fa dal Premio Alvaro fu perpetrata una vergogna ai miei danni, “per questione personale”, al punto da minacciare le dimissioni se il mio romanzo fosse stato confermato in finale».

Che nei salotti culturali calabresi, quando si tratta di assegnare i premi siamo abbagliati da una ossequiosa “esterofilia”, è un fatto. Lo dimostrano le risatine circolate nei giorni della presentazione delle candidature al Premio Strega all’indirizzo di qualche autore conterraneo ritenuto lì fuori luogo, e gli infastidite sollecitazioni di alcuni intellettuali nostrani a moderare l’orgoglio paesano sui media per “i calabresi allo Strega”. E’ anche vero che qualcuno degli scrittori presentati allora calcò la mano autopromuovendosi ai limiti del ridicolo. E, sembrerà snob, ma va detto con chiarezza. Al premio Strega come al Salone di Torino non è un bene che ci siano un Gangemi accanto a un autore di pensierini della domenica, o un libro su cui un editore ha investito accanto a uno pubblicato a pagamento. Non è democratico. Volendo accantonare il malcostume di marchette e favori, è innanzitutto deriva culturale. Una differenza, insomma – quella che non c’è stata a Torino con l’apertura all’autopubblicazione e che non c’è stata nelle proposte di candidature ai cortometraggi dei David di Donatello, un altro imbarazzante porto di mare – deve restare.

Per i lettori vecchi e nuovi, deve restare. Tornando a Lagioia (ricordate l’asterisco?), durante il Salone è stato bersaglio di una tremenda mitragliata di Striscia la Notizia, che ha riesumato uno scontro di oltre vent’anni fa tra lui e Melissa Panarello (un’irripetibile frase sessista per commentare il successo di “Cento colpi di spazzola”). Poi i due si chiarirono ma mai pubblicamente, a fronte di una frase davvero brutta e che la stessa Melissa P. aveva al tempo commentato come offesa sul suo blog. Eppure oggi, segnala Striscia, Panarello fa fotografie al Salone abbracciata a Lagioia e soprattutto firma un podcast su Apple, “Love Stories”, con Chiara Tagliaferri, moglie dello scrittore pugliese e lanciatissima con il suo romanzo mondadoriano “Strega comanda colore”. Pace fatta o calcoli di opportunità? Secondo Lagioia e Panarello semplicemente un attacco gratuito per danneggiare la manifestazione (qualcuno ha chiesto anche le dimissioni del direttore). L’hashtag del Salone del Libro 2022 è stato #ioc’ero. L’importante è esserci, giusto. Possibilmente distinguendosi, anche.

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