X
<
>

Carmine Abate

Condividi:
4 minuti per la lettura

L’ultimo libro di Carmine Abate, “Un paese felice”. Tra fantasia e realtà, lirismo e crudezza lo scrittore racconta la storia di Eranova

«SENZA la nostra storia, senza la nostra memoria, non siamo niente». C’è un nuovo romanzo di Carmine Abate. Storie di “Un paese felice”, che è il titolo del libro edito dalla Mondadori, da oggi negli scaffali. Questa volta l’ambientazione principale è in un “paisinovu”, che si lega a Carfizzi, il piccolo paese arbëresh della Calabria dove lo scrittore è nato e da dove è partito, “luogo centrale e microcosmo multiculturale e plurilinguistico da cui ho attinto a piene mani”, e che diventa un tutt’uno con quella Calabria in miniatura, che nei suoi libri chiama Hora, Roccalba, Spillace.

LEGGI ANCHE: Carmine Abate: «Scrivere significa scavare nella memoria della propria vita»

“Da microcosmo, diventa macrocosmo, universale come la Calabria, una terra bellissima ma ferita», e Carmine Abate cerca di raccontarne sempre la bellezza senza dimenticare le ferite e viceversa. E così, anche per quest’ultimo romanzo, vale il pensiero espresso in altre sue precedenti narrazioni, «dentro ci trovo i grandi temi della letteratura di tutti i tempi: la ricerca dell’identità, l’emigrazione, il ritorno, la natura e soprattutto l’amore».

Stavolta il vero cuore del romanzo è Eranova. Un romanzo corale che intreccia più fili narrativi, a partire dalla storia di Lina, una studentessa idealista e caparbia come i fondatori del suo paese, e il suo fidanzato Lorenzo, che è di un altro paese calabrese. Lorenzo, come il nome che porta il nipote dello scrittore, di appena tre anni. C’è la storia di una comunità, vite di generazioni diverse ma alle prese con gli stessi problemi, la libertà, l’amore, la rabbia. Eranova, negli anni Settanta, è ancora un paese giovane. Che bel nome, Eranova.

«Sembra inventato da un poeta». No. “«Ti sbagli, determinata specifica Lina. Sono stati massari e contadini a chiamare così il luogo dove avevano deciso di vivere dopo essersi ribellati al loro padrone. Volevano iniziare un’era…». Si sta bene a Eranova, «quanto è pacifica Eranova, senza caserma dei carabinieri, senza ‘ndrine né padrini, tutti uguali davanti al Patreterno». Poi, un bel giorno, in quella grande spianata di terra nelle campagne tra Gioia Tauro e San Ferdinando, arriva il ministro della Cassa per il Mezzogiorno, per la posa della simbolica “prima pietra” del porto del quinto centro siderurgico. Uomini “d’onore”, imprenditori e politici predoni si sfregavano le mani pensando ai fiumi di denaro in arrivo con quell’investimento faraonico. Porto di Gioia Tauro, Quinto Centro Siderurgico d’Italia, seguiti poi, in altri luoghi della Calabria, dalla Liquichimica di Saline Joniche e dalla centrale a carbone.

Un’industrializzazione selvaggia e “artificiale”, già prevista dal Pacchetto Colombo, che rischiava però di trasformare un territorio a prevalenza agricola in una bomba ecologica. Eranova continua a rimanere «come un nido accogliente, come una magarìa». «Non preoccuparti, non si farà nulla. Lo sai meglio di me che è una delle solite promesse elettorali, un altro zuccherino per placare gli animi dopo la rivolta di Reggio…» – dice Lorenzo a Lina. La spiaggia di Eranova continuava a profumare di zagara. «Nessuno teme davvero la sparizione di Eranova. Qui la rimuovono come da giovani si rimuove l’ombra del vento della morte” – si legge nelle pagine di “Un paese felice”. E s’ode «il canto d’amore delle cicale nascoste negli agrumeti».

Eranova, «paradiso chjatto e improfumato». Fino a quando non si muovono quelle ruspe, rimaste per tanto tempo ferme poco distanti da Euronova, che nemmeno le “zoccole ribelli” sono riuscite a fermare. E i terreni diventano «come un deserto di cenere», tutto il paese viene «avvolto nella polvere». Eranova diventa “una foresta pietrificata”. Del paese reale non è rimasta nemmeno una pietra. Rimane, quasi come memoria, il grande albero di arancio davanti alla “caseda” di mastro Cenzo, l’albero delle origini, “l’arancio anticario”. Carmine Abate si conferma scrittore di grande impegno civile, nonché amante della storia della sua terra. Anche qui lo scenario calabrese è fondamentale.

Abate conosce i luoghi, conosce i suoi conterranei, ne sa delineare perfettamente i caratteri salienti. E dimostra di sapere ottimamente calibrare nella struttura tra romanzo giallo e saga tutta la denuncia di una società soggiogata dai poteri forti a danno dei più deboli. Eranova, «un luogo difeso solo dalla tenacia inerme dei suoi abitanti».

Il libro “Un paese felice” di Carmine Abate è “un film d’amore e di rabbia”, un romanzo di forte denuncia, scritto con uno stile trascinante, coinvolgente, carismatico, che non rinuncia a qualche termine dialettale e a espressioni della lingua parlata, e che cattura dalla prima all’ultima pagina, senza sbavature e tempi morti. E tutto diventa poesia, canto, estro e genio. «Questo romanzo è frutto dell’ascolto di un coro di voci veritiere e del mio tentativo di disseppellire la memoria più profonda di Eranova e l’utopia incastonata nel suo bellissimo nome» – scrive l’autore nelle note conclusive del suo nuovo libro, che dedica «a Marisa e don Salvatore Giovinazzo, i primi eranovesi – prosegue Abate – a introdurmi con passion nella vita di Eranova, come se il paese, i giardini e il suo mare fossero ancora attorno a noi».

Il nuovo libro di Carmine Abate “Un paese felice” è stato presentato, in anteprima nazionale negli scorsi giorni nella Sala Consiliare di San Ferdinando in provincia di Reggio Calabria.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE