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Esemplare di Erebia cassioides

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In pochi chilometri ‘pezzi’ di Alpi e di Africa, la Calabria è unica: quasi la metà delle specie di farfalle in Italia si trova in regione

GRANDI e minuscole. Capaci di mimetizzarsi con i colori del bosco o di stagliarsi con tonalità luminose e sgargianti. In Calabria volano circa 120 specie diverse di farfalle e, di notte, oltre 1.200 di falene. E se vi sembrano poche, vi basti sapere che di farfalle ‘diurne’ – giusto per fare un paragone – in tutta Italia troviamo 280 specie. In Calabria, di queste 280, potreste imbattervi in quasi la metà.

Alcune sono endemiche: è il caso di Heterogynis eremita, che frequenta solo le praterie del Pollino, o di Cochylimorpha scalerciana e di Itame messapiaria, presenti solo in Sila. Chi meglio delle farfalle, quindi, può testimoniare che scrigno di biodiversità sia la Calabria?

«La Calabria ha una caratteristica speciale che la rende unica: nella stessa regione, nel giro di pochi chilometri, passiamo da ambienti estremamente distanti, che sono quindi habitat di specie molto diverse. Ecco perché è possibile trovare specie tipiche delle Alpi e, spostandoci verso le coste, specie africane, spagnole, balcaniche. Da nessuna altra parte in Italia è così: in Sicilia, ad esempio, non trovate le specie alpine, nell’Italia centrale mancano quelle africane. La grande variabilità ambientale che ci caratterizza si riflette nella variabilità di specie che popola il nostro territorio. E non vale, naturalmente, solo per le farfalle».

A spiegarcelo – in occasione della Giornata mondiale della biodiversità celebrata il 22 maggio – è Stefano Scalercio, ricercatore del Crea (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) in servizio presso il centro di Rende, naturalista ed esperto di lepidotteri.

E no, non è un caso che una delle due specie endemiche della Sila, prima citate, sia stata ribattezzata scalerciana: Pasquale Trematerra, ordinario di entomologia dell’università del Molise che l’ha scoperta, l’ha dedicata al collega Scalercio, che ha contributo alla raccolta del materiale di studio.
La Calabria, poi, oltre a una grande variabilità ambientale ha anche una storia geologica particolare. «È stata un ‘rifugio’ durante le glaciazioni per tante specie in fuga dal ghiaccio. Alcune sono rimaste, altre nuove sono nate per via dell’isolamento – racconta Scalercio – Questo rende la biodiversità calabrese importante: una vera miniera da esplorare. Sono quarant’anni che studio e faccio ricerca e ancora scopro cose nuove nel boschetto qui vicino».

Tanta ricchezza, però, oggi è minacciata dall’alterazione degli ecosistemi e dal cambiamento climatico. «Nei primi anni del 2000 effettuammo un campionamento sulle popolazioni di Erebia cassioides (specie che ama le praterie alpine, ndr) che in Calabria sono presenti sul Pollino. Da un monitoraggio degli anni ’70 sapevamo che queste popolazioni erano equamente distribuite al di sopra e al di sotto dei 1.900 metri. I risultati del 2000 mostrarono che il 99 per cento era ormai ‘residente’ solo sopra i 1.900 metri: era già un primo effetto del cambiamento climatico» spiega Scalercio.

Anche gli eventi estremi disturbano le nostre farfalle. Scalercio torna con la mente a una gelata tardiva che caratterizzò la fine di aprile del 2016. «‘Bruciò’ le chiome dei faggi, sembrava autunno – ricorda – Dopo la gelata riscontrammo una forte diminuzione delle popolazioni di falene che depongono le uova sui faggi e delle sue foglie si nutrono. Per due specie, che volano in autunno e depongono le uova a inizio inverno, attendendo la schiusa in primavera, il calo era stato del 90/95 per cento: le larve appena nate non avevano trovato cibo. Per fortuna in Calabria il faggio è molto presente e quindi è possibile la ricolonizzazione di nuovi ambienti. Ma là dove il faggio non è così diffuso si rischierebbe l’estinzione locale».

Farfalle e falene negli ecosistemi rivestono un ruolo prezioso. Sono prede per ragni, insetti, uccelli, alcuni mammiferi e sono anche impollinatori: come le api hanno un compito cruciale nel funzionamento degli ecosistemi, nella tutela degli habitat, nelle produzioni agricole. Ma sono anche bioindicatori significativi dello stato di salute del nostro territorio.

«Qui al Crea valutiamo l’impatto dei diversi sistemi di gestione del bosco. E le comunità di falene ci raccontano se e quanto sono sostenibili. Nell’ambito di progetti finanziati dal Pnrr, inoltre, condurremo un monitoraggio dello stato di salute della biodiversità negli ambienti urbanizzati e semiurbanizzati – racconta Scalercio – e il prossimo anno avvieremo il monitoraggio del Crati: vogliamo verificare gli effetti della riduzione dell’habitat fluviale/umido e valutare se si è ancora in tempo per intervenire».

E questa è una missione (anche) per le nostre farfalle.

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