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FRANCESCO De Gregori ripercorre 40 anni di vita in musica e lo fa a “VivaVoce”. Un viaggio personale e collettivo in 28 canzoni, raccolte in un doppio album che dà anche il nome al tour del cantautore. Unica data in Calabria il 30 aprile al Pala Gallo di Catanzaro. L’occasione per parlare, prima del concerto, con il “principe” della canzone italiana del disco e di tanto altro: libri, amici, sud. Cominciamo ovviamente dalla musica. Per non sbagliare, seguo scrupolosamente le indicazioni del maestro: ascolto il disco come sottofondo mentre scrivo, durante una pausa al pc o al lavoro, in maniera disordinata. Solo qualche traccia, in base all’ispirazione del momento. E’ una folgorazione: l’ascolto “distratto” è la chiave per andare al cuore di “VivaVoce”. Saltellando da un brano all’altro la sensazione è che in questi 40 anni ad essere cambiato non è solo Francesco De Gregori ma anche chi la sua musica la ascolta. “La donna cannone” riletta da Nicola Piovani o “Alice” cantata insieme a Ligabue, ad esempio, non fanno rimpiangere affatto la versione “originale”, continuano ad emozionare in maniera diversa, nuova…

«In effetti – concorda il cantautore – questo disco lo dovevo a me. Ma anche al pubblico che ha il diritto, se vuole, di vedere da che parte sto andando. Ho passato una lunga parte della mia vita a veder cambiare queste canzoni sotto le mie mani e sotto quelle dei musicisti che mi accompagnavano. E questo cambiamento volevo testimoniarlo. Non nascondo – confessa- che quando ho cominciato a pensare ad un disco come VivaVoce mi sono chiesto come avrebbe potuto prenderla una parte del mio pubblico. So che in molti sono affezionati a quelle che chiamiamo le “versioni originali” delle canzoni che amiamo. Però ho anche pensato che questo nuovo disco non sottrae nulla al passato. VivaVoce è solo musica in più da condividere tutti insieme».

Il doppio disco platino all’album e il successo del “VivaVoce tour” sono la conferma che l’ “esperimento” è riuscito?

«Per un artista non c’è miglior riscontro del confronto diretto con il pubblico, i concerti sono sempre una sorta di prova del nove e devo dire che dopo aver visto sotto il palco gente di tutte le età cantare insieme a me, tutti i dubbi sono svaniti. Mi sono convinto che questo disco ho fatto proprio bene a farlo».

E il De Gregori burbero, un po’ solitario che fine ha fatto?

«Solitario non direi. Sono stato sempre aperto alle collaborazioni. Ho iniziato con Antonello Venditti e poi ci sono stati Fabrizio De Andrè, Ambrogio Sparagna, Lucio Dalla, Ivano Fossati e tanti altri. Mi ha sempre incuriosito il confronto e stimolato lavorare insieme ad artisti diversi da me e dal mio modo di sentire la musica. Burbero sì, lo sono stato fino a qualche tempo fa. Invecchiando mi sono scoperto più placido, più equilibrato e di conseguenza più disponibile».

Vuol dire che in altri tempi questa chiacchierata non sarebbe stata possibile?

«Sono sincero, molto probabilmente mi sarei sottratto».

Un po’ come fino a poco tempo fa con i fotografi. Anche questo un “tabù” infranto, visto che lei addirittura ha “posato” per il volume, a cura di Silvia Viglietti e Alessandro Arianti, “Francesco De Gregori. Guarda che non sono io” (Edizioni Svpress), che racchiude, attraverso una selezione di immagini e parole, la sua storia musicale attraverso il racconto di viaggi, dischi, concerti, backstage, incontri …

«Dieci anni fa un libro di foto non lo avrei amato e ancor meno avrei desiderato farlo. Adesso pur non rinunciando a una certa autoironia, come si evince dal titolo, questo volume si colloca in un momento significativo della vita che è per me l’inizio della vecchiaia vera».

Vecchio, ad appena 64 anni?

«Beh sì, è giusto chiamare le cose con il loro nome. E’ una fase della vita che non mi fa paura».

“VivaVoce tour” ha molte tappe al Sud, come mai?

«Perché del Sud si parla quasi sempre (ingiustamente) solo in termini di criminalità e già questo me lo fa amare. E poi è una miniera di piccoli centri, dove si arriva a fatica per strade tortuose e disastrate, ma dove puntualmente si trovano meraviglie. La Calabria, la Basilicata, la Puglia sono luoghi poetici per natura».

Oltre al disco, è uscito l’audiolibro “America” di Franz Kafka. Dopo “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad, lei torna a regalare la tua voce a un romanzo, scegliendo un’opera di Kafka, non tra le più conosciute, che ha influenzato alcune delle sue canzoni più belle.

«America è un libro che mi è sempre piaciuto. A dispetto della fama di Kafka come autore cupo, difficile, “America” è un testo più risolto, solare, ingiustamente definito minore, e con questo audiolibro ho voluto rivendicarne l’importanza. E poi trovo l’audiolibro uno strumento straordinario che aiuta a godere del piacere della lettura chi ha difficoltà a farlo autonomamente o non ne ha il tempo».

Quarant’anni fa usciva “Rimmel”, forse il suo disco più amato. E’ un traguardo da festeggiare…

«Certo. Lo farò il 22 settembre all’Arena di Verona con un concerto-evento in cui ho deciso di suonare integralmente “Rimmel” insieme ad alcuni amici e colleghi. Sarà una festa, anche un po’ sgangherata, se vogliamo, in cui sono invitati non solo i parenti (cioè gli artisti più affini al mio mondo musicale), ma anche gli amici (musicisti diversi da me per stile ed età). Ci saranno con me Malika Ayane, Caparezza, Elisa, Fedez e Ambrogio Sparagna».

Ma anche al Pala Gallo non mancheranno le sorprese. L’opening act del concerto di Catanzaro avrà come protagonista Ylenia Lucisano, una giovane artista calabrese che presenterà alcuni brani estratti dal suo disco d’esordio “Piccolo universo”…

«Ylenia è brava e se lo merita. Il 1 maggio sarà anche al Concertone di Piazza San Giovanni. Fa musica diversa dalla mia. Il suo è un disco di pop raffinato con venature folk. La sua vicinanza alla tradizione popolare e la sua naturalezza nel cantare anche in calabrese mi piace molto. Ecco il regalo più che a Ylenia lo faccio al pubblico di Catanzaro, permettendogli di conoscere un’artista così brava».

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