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E’ UN Pupi Avati fortemente amareggiato, deluso «per non sentirsi capiti» quello che ci risponde, con grande cordialità, al telefono. Da subito evidenzia «l’enorme dolore» arrecatogli con le critiche sul film girato a Rocca Imperiale e nell’Alto Jonio “Le nozze di Laura” e la mortificazione subita per essere stato oggetto «di malignità ed insulti».

«Alla Calabria scabra e ostile che fa da sfondo al film drammatico e ancestrale Anime Nere, abbiamo contrapposto, senza alcun intento polemico, la visione di una terra capace di produrre il grande miracolo dell’integrazione attraverso l’amore. Una terra che ha generato Gesù, la sua mamma, i suoi primi apostoli». E’ questa la chiave di lettura al film che il Maestro invoca e non «una generalizzazione a fare del film uno stato sociologico della Calabria».

Lei parla di malignità ed insulti da parte di gente calabrese che invece la ha adorata. Cosa non ha funzionato nel rapporto a film concluso?

«L’affetto smisurato nei riguardi dell’essere umano che questa nostra storia fa emergere e che si esplicita nella grande scena finale, doveva risultare sufficiente a inorgoglire l’intera collettività. La sensazione che ci ha accompagnati dal momento dei sopralluoghi al concludersi delle riprese era quella di aver trovato nella vostra terra non solo la bellezza dei luoghi ma la bellezza della gente. Un calore umano che ci ha accompagnati come vento benefico fino al concludersi della nostra narrazione».

Quindi per lei le critiche al film sono pretestuose?

«Eravamo e siamo, così orgogliosi del risultato da far si che consideriamo le Nozze di Laura come il racconto più riuscito, più profondo, sacrale, dell’intero nostro rapporto con Rai Fiction. L’aver ottenuto, malgrado la collocazione così poco televisiva (al centro del week end dell’Immacolata con oltre sei milioni di nostri connazionali fuori casa) un risultato in termini di ascolto che ha sbaragliato la concorrenza, avrebbe dovuto spazzare via ogni perplessità. Quella notte il mix Vangelo\Calabria ha stravinto!».

La critica più aspra è al personaggio di Laura, ritenuto stereotipo di una ragazza calabrese ingenua ed ignorante.

«Con il film ha finalmente vinto la storia di una ragazza di scarsa avvenenza che pretende la sua storia d’amore, che crede all’impossibile. Laura è un personaggio tenero ed ingenuo che, come in altri miei film, incarna un personaggio di grande candore».

Ritorno d’immagine. Secondo chi la ha criticata, Checco Zalone ha meglio rappresentato la Puglia di quanto lei abbia fatto con questo lembo di Calabria.

«Chi ci denigra comparando il nostro realismo magico ai film di Checco Zalone, nei riguardi del quale proviamo tutta la simpatia possibile, dovrebbe farsi sottoporre a un test attitudinale. Gli rivelerebbe la sua assoluta inadeguatezza culturale e mentale all’incarico di così alta responsabilità che ricopre».

Altra critica, il dialetto parlato dal papà di Laura e da altri personaggi minori. Non è quello dell’Alto Jonio cosentino.

«Siamo abituati a guardare i film americani malamente doppiati e sottilizziamo sul dialetto parlato dal padre di Lorenzo. Nei film di Fellini, ambientati in Romagna come Amarcord, il dialetto parlato non era certo romagnolo puro. E nessuno se ne è mai lamentato».

Hanno definito il suo film sessista.

«Le vicende di Laura hanno portato finalmente in televisione, in prima serata su Rai uno, il doloroso percorso che una ragazza non bella è costretta a compiere per ritagliarsi un sua porzione di felicità. Credo che non abbiamo mai realizzato una storia di così totale vicinanza alla donna. Credo che il coraggio di non ricorrere alle Miss o agli eroi del Grande Fratello sia stato premiato. So per certo che migliaia di Laura in tutta Italia hanno palpitato con lei, identificandosi, auspicando quel lieto fine che solo a ridosso dei grandi, protettivi agrumeti della vostra regione, ci è parso possibile».

Nonostante le critiche, tornerebbe a girare in Calabria?

«Sicuramente ci sarebbero state altre ricadute positive ma alla luce di queste polemiche mi è passata la voglia e credo che anche i miei colleghi ci penseranno due volte prima di girare in Calabria».

Proprio non riesce a mandare giù le critiche?

«Nella nostra cinquantennale esperienza cinematografica non ci era mai accaduto di leggere una riflessione su un nostro film così infantile e modesta sia nei contenuti che nella forma come quella redatta da un gruppo di veterofemministe di non so dove. Di fronte a una proposta narrativa di questo spessore eravamo preparati a trovare chi non avrebbe compreso tutto, accade alle cose culturalmente ambiziose, ma non ci saremmo mai aspettati di subire un attacco da parte di chi non ha capito assolutamente niente. E temo per loro in totale buonafede».

Da Rocca Imperiale il sindaco Giuseppe Ranù ed altri hanno difeso a spada tratta il film.

«Ai nuovi amici di lì che ci hanno spesso confidato il senso di profondo isolamento che avvertono nei riguardo del paese, il timore di non godere della visibilità che altre regioni magari contigue, suggerisco di riflettere su questa nostra vicenda. E’ senza alcun dubbio paradigmatica. Può essere assunta come esempio di quanto la faida interna (e torniamo ad Anime Nere) sia da anteporre a tutto, dissuadendo chiunque dal compiere quel doveroso tentativo di “bonifica” del territorio che noi, con uno sguardo esterno e disincantato, avevamo avvertito così necessario e improcrastinabile».

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