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Gianluca Arcopinto (col microfono) durante la master class all'Unical

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CONTINUA la nostra rubrica che ci permette di fare attività di divulgazione cinematografica anche in questi difficili momenti di pausa forzata e riflessione. Questa settimana abbiamo sentito Gianluca Arcopinto, una delle figure di riferimento della produzione cinematografica italiana. Non a caso, ospite del Premio Mario Gallo in diverse edizioni della manifestazione organizzata dalla Cineteca della Calabria, compresa una master class per gli studenti dell’Università della Calabria.

Gianluca Arcopinto, com’è cominciato per lei, tutto questo?

«Quando tutto è cominciato, quando i suoni dei giorni e delle notti sono diventati improvvisamente uguali, quando le ore sono diventate più lunghe, quando le attese hanno iniziato a svanire, c’era chi ci credeva e chi non ci avrebbe creduto mai. C’erano pochi che conoscevano e c’erano troppi che parlavano di quello che non capivano. C’era chi cominciava ad avere paura e c’era chi la paura non l’avrebbe avuta mai. C’era chi continuava ad andare avanti e c’era chi si era fermato a ricordare. Io ci credevo, anche se non conoscevo. E nonostante questo non avevo paura. Io soprattutto volevo continuare ad andare avanti. La cosa ignota, improvvisa, violenta che aveva costretto le nostre città e i nostri paesi a fermarsi, non sarebbe riuscita a spegnere i miei progetti, le mie idee, i miei impegni, i miei sogni, almeno fino a quando il fisico me lo avesse permesso».

Gianluca Arcopinto

Invece, nonostante una attività lavorativa perfettamente incasellata, da un film all’altro, da un set all’altro, si è dovuto fermare…

«Nella confusione di interpretazione dei primi divieti, mi sono sentito sbandato, svuotato, disarmato. Avevo capito da subito che sarebbe stato meglio rimanere chiuso in casa, ma non riuscivo a leggere né un libro né una sceneggiatura. Non riuscivo ad ascoltare la musica, tanto mi sembrava di oltraggiare il silenzio che piano piano ci stava conquistando. Non riuscivo a scrivere nemmeno una riga del mio paio di progetti di scrittura che da tempo erano solo dei cantieri aperti. Non riuscivo a continuare a costruire nella mia testa una strategia per portare avanti i progetti cinematografici in corso: quattro film da distribuire e quattro film da produrre, o almeno da provare a produrre».

È riuscito almeno a continuare l’insegnamento nelle scuole di cinema?

«Dopo due o tre giorni trascorsi così, steso sul letto ad aspettare l’ora successiva, è come se mi fossi risvegliato. Forse mi hanno aiutato proprio le scuole di cinema – diventate piano piano un pezzo importante della mia vita – che si sono quasi subito rimesse in moto, organizzando una didattica a distanza che praticamente dopo due settimane di stop già funzionava a pieno regime. E poi via via la mente ha ripreso a lavorare su tutto il resto e tra una lezione e l’altra ho ricominciato a progettare, a scrivere, a leggere, ad ascoltare la musica».

Oltre alle lezioni, come ha vissuto il resto della quotidianità?

«Ho avuto la fortuna di trovarmi a vivere la clausura con i miei tre figli, che da subito mi hanno costretto a non stare troppo tempo sdraiato su quel letto, perché c’era comunque da pensare a cosa mangiare, dove andare a fare la spesa per fare meno file possibili, come convincerli che non si poteva uscire. Non è facile tenere fermi in casa un post adolescente, un adolescente e un prossimo futuro adolescente. Finora ci sono riuscito abbastanza bene. Solo ogni tanto uno, l’adolescente, organizza delle piccole fughe che si esauriscono nel fare un giro del palazzo, forse per vedere furtivamente un amico, forse per fumare una sigaretta che io ufficialmente devo sapere che non fuma».

Cosa accadrà quando tutto questo sarà finito?

«Dopo venti giorni di clausura, ho raggiunto un mio equilibrio tutto sommato sopportabile. Certo, alcune cose mi mancano. Mi manca l’amore, mi manca lo sport da fare e da vedere, mi mancano le gelaterie aperte, mi mancano i miei studenti con cui non mi è sufficiente vedermi attraverso lo schermo di un computer. So che tutte queste privazioni sono politicamente pericolose ma civicamente giuste. Non so quando tutto questo finirà. Non mi piace credere nella retorica di un futuro che ci vedrà popolo finalmente unito. Credo che in quel futuro molte cose cambieranno, ma temo che non diminuirà la disuguaglianza sociale, che forse addirittura aumenterà. Credo che ci vorrà molto tempo perché il cinema torni a funzionare in tutti i suoi aspetti. Ho paura che molti non ce la faranno ad andare avanti e si dovranno reinventare una vita. Io aspetto con serenità di tornare a vivere liberamente i miei dubbi, le mie paure, le mie perplessità. E soprattutto so che continuerò a sognare il mio cinema fino all’ultimo respiro».

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